w-la’ ta’lan l-nesjuna’

Vengo dalla lettura di The Power of Habit di Charles Duigg (tratto in italiano con La dittatura delle abitudini). In qualche modo, l’idea che le cose che tipicamente danno dipendenza (denaro, sesso, alcol, droga, gioco d’azzardo, social network, in una parola: dopamina, ma questo è il tema per un altro post), siano in sé sostanze neutre, mentre ad essere sbagliato è l’uso che l’uomo ne fa, non mi ha mai convinto. Voglio dire, c’è persino una puntata dei Simpson a riguardo, quella in cui Homer va a fare il missionario in una qualche isoletta nel Pacifico e trasforma un popolo del tutto sereno ed equilibrato in una banda di dipendenti grazie a un tavolo da blackjack e a un bar con ampia selezione di birre.

Simpsons-Misionary Impossible Homer opens his island casino crop

Insomma, a me sembra un po’ una razionalizzazione con il fine di giustificare lo status quo, che è negata da più o meno quello che si osserva nella vita di tutti i giorni di tutti gli uomini.

Ora, entrino in scena due esperimenti che cominciano con il nome Stanford. 

Il primo è il marshmallow experiment, in cui a dei bambini di quattro anni viene posto davanti agli occhi un caramellone spugnoso, sotto la promessa che se al ritorno dell’esaminatore nella stanza dieci minuti dopo il caramellone fosse ancora al suo posto, ne verrà dato un altro come ricompensa. Andando a seguire i bambini partecipanti nel corso della loro vita successiva, si vede che chi ha superato il test straccia chi non l’ha passato in ogni possibile ambito. Guardando i video dei test si nota una differenza:

Schermata 2014-08-14 alle 22.58.07

I bambini che superano il test (tralaltro, quello qui sopra assomiglia in maniera impressionante allo scrivente — non che io l’avrei superato a quattro anni) adottano la strategia di cercare di dimenticare la presenza del marshmallow togliendoselo dalla vista.

Schermata 2014-08-14 alle 22.58.39

Quelli che falliscono invece non riescono a non ricordarsi costantemente della presenza della tentazione.

Quindi, la pura forza di volontà non spiega la differenza tra i due gruppi; ma conta più che altro la strategia che si mette in atto per permettere alla propria forza di volontà di sopportare il carico della sfida.

Il secondo è il prison experiment, in cui un gruppo di ragazzi del tutto comuni e normali viene diviso tra carcerieri e carcerati e la fittizia prigione viene lasciata senza sorveglianza esterna. Dopo pochi giorni sia assiste alla trasformazione dei carcerieri che diventano, in una parola, cattivi: cominciano a umiliare e a vessare i detenuti per nessuna ragione se non un sadico divertimento. Ciò è identico a quanto è accaduto nella prigione di Abu Ghraib durante l’ultima guerra in Iraq. L’immersione nel ruolo di guardia, la totale libertà di azione e di possesso sui detenuti, l’impunità dovuta alla mancanza di sorveglianza esterna hanno sopraffatto la capacità di giudizio razionale e il senso morale di quei ragazzi, trasformandoli letteralmente in dei mostri.

D’altronde il penultimo verso del Padre Nostro è w-la’ ta’lan l-nesjuna’, cioè, nella mia interpretazione, “Padre sottoponici a una tentazione che siamo in grado di superare, e non a una superiore”.

La strategia del -1

Chi mi conosce sa che la produttività non è il mio forte. Sono un procrastinatore cronico. Sono ben a conoscenza di molti dei metodi esistenti sulla faccia della Terra per aumentare la propria produttività, eppure non ne vengo a capo. Questo è tipico: l’eccesso di analisi non porta mai nulla di buono. Così ieri, mentre pensavo per l’ennesima volta a come distribuirmi i compiti in modo più intelligente di quanto non faccia ora, mi è venuta una piccola illuminazione. Mi è venuta pensando a un passo del libro di Tim Ferriss The 4-Hour Body, in cui si raccontava di un uomo che per scrivere la sua tesi di dottorato si è dato la regola: scrivi anche solo una frase al giorno, ma fallo tutti i giorni senza saltarne nemmeno uno, non importa quanto tu sia ubriaco, stanco o malato.

Distribuendo il volume di lavoro il più possibile si sfrutta la costanza, la goccia che scava la roccia, evitando l’ansia di dover finire un compito importante in pochi giorni, evitando il burn-out e la voglia di svaccarsi totalmente una volta finito il lavoro, instaurando delle abitudini produttive che col passare del tempo diventeranno automatiche, togliendo la gravosità dell’impatto iniziale nell’intraprendere un lavoro.

Non c’è niente di male nel fare dei passettini da lattante. Ci si può sentire in colpa a fare poco quando si potrebbe fare di più; epperò spesso le sensazioni sono ingannevoli, ed è più saggio aderire con fiducia alla strategia. Per fare di più, fai meno ogni giorno.

Passando ad applicare la strategia a compiti specifici, dò alcuni esempi.

  • Come molti, anch’io ho una reading list, nel mio caso inclusa nel browser, contenente tutte le pagine internet o i post che sono “in coda”. L’invenzione della ferrovia è stata anche l’invenzione degli incidenti ferroviari, e l’invenzione di queste code ha introdotto il problema di smaltirle. L’obiettivo è quindi di leggere un elemento della lista al giorno, indulgendo nella lettura dei successivi solo se motivati da un trascinante interesse.
  • Leggere un libro. Una pagina mi sembra veramente troppo poco, facciamo dieci pagine.
  • Imparare una lingua straniera. Io uso Anki, un software fatto per imparare i vocaboli sfruttando le ripetizioni spaziate. Dieci parole nuove + il ripasso di dieci parole vecchie al giorno. Sono parametri che si possono impostare all’interno del programma.
  • Esercizio fisico. Voglio migliorare la mia mobilità generale lavorando su un muscolo (o gruppo di muscoli) alla volta. Ad esempio, farò un allungamento classico per gli ischiocrurali da due minuti per gamba.

Per raffinare la strategia si potrebbe inserire un ben determinato segnale (il più comune è l’ora del giorno) che accompagni la realizzazione del compito, in modo da velocizzare la creazione di un automatismo. Ad esempio, leggerò il mio post dalla reading list tutte le volte a metà mattina mentre faccio una piccola merenda. E, pur non avendo mai capito bene come funzionino, la teoria dice che sarebbe utile anche inserire una ricompensa. Come stravaccarsi per un minuto sul divano e godersi la soddisfazione di aver portato a termine un compito.

Per concludere, l’ha strategia l’ho pensata ma è stata ancora provata. La proverò nel prossimo mese. Sperando che non vada a finire nel cestino prima, come spesso mi capita. Come l’occhio esperto potrebbe notare anche solo dalla mia scrittura e dalla scelta dei vocaboli, il sottoscritto è un tipo “indaffarato” ma non proprio attivo; nel senso che manco di una concezione sana delle priorità e mi trovo a concludere poco o niente di importante perché sono continuamente occupato nelle svolgimento di piccoli compiti inutili, oppure ad elaborare strategie su come fare senza mai fare davvero. Probabilmente nella mia vita ho letto troppe cose scritte dalla massa di figli putativi del signore qua sotto (se non si era capito, il libro, questo libro qua sotto, non compratelo mai, anzi statene bene alla larga).
Getting_Things_Done

Gesù fu battezzato a circa trent’anni dal Battista nel Giordano. Sono dell’opinione che si tratti di un evento interiore che poi, come tutte le favole da che mondo è mondo, è stato trascritto in simboli per essere raccontato alle generazioni future. Ma questo non è importante adesso. È importante che anche trai cristiani primitivi erano gli adulti a essere battezzati, dopo un lungo percorso di istruzione. Solo dal quinto secolo, dice Wikipedia, hanno cominciato a essere battezzati gli infanti.

Questo non ha senso. Non ha proprio senso. La simbologia del battesimo è di morte e resurrezione: l’uomo vecchio deve affogare nelle acque e deve sorgere quello nuovo, “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3:30) nelle parole del Battista stesso. Perché allora si battezzano i bambini? Perché la religione organizzata è basata sul senso di appartenenza, non sulla trasformazione della coscienza (illuminazione). Perché, detto in termini più brutali, bisogna prenderli tutti da piccoli, quando ancora non si rendono conto di niente, per avere il maggior numero di anime al proprio servizio. 

Trovo su internet:

“Il Battesimo (dal greco βάπτισμα, báptisma, “immersione”, forma del verbo baptein/baptìzein, “immergere”, “lavare”) è il primo dei Sacramenti. Chi lo riceve nella fede riceve il perdono totale e incondizionato dei peccati, diventa figlio adottivo di Dio e Tempio dello Spirito Santo.
Il Battesimo è l’atto di nascita del cristiano[3], incorpora a Cristo; o meglio: tramite esso, lo stesso Cristo vincola a sé il battezzato, e lo rende membro della Chiesa.”

È chiaro che se con queste parole si intende l’esperienza avuta dal Nazareno quel giorno sul Giordano, allora tutto suona bene. Se se intende quello che viene somministrato ai neonati in tutto il mondo, sono solo parole vuote e ingannevoli. Prendere i misteri e svuotarli di significato è un tipico procedimento degli angeli caduti.

Per questo lo Spirito (e spero di non svilire il messaggio scrivendolo qui) ha sussurrato a una persona di cui ho grande fiducia:

TUTTI I BAMBINI VENGONO MARCHIATI COL BATTESIMO, GLI TOLGONO LA VITA, ANZI DIVENTANO UNO DI LORO: NOI NE ABBIAMO SALVATO UNO DA MORTE CERTA

Non credo di essere ancora salvo da morte certa, ma, intanto, avere la possibilità di giocare a un altro livello è una fortuna infinita.

Tu non agisci razionalmente

His first question when we sat down to lunch was, ‘When you go to pee in a restaurant urinal, do you wash your hands before or after you pee?’

I was stunned. ‘Afterwards, sir.’

He looked at me sourly. ‘That’s the wrong answer. You’re a conventional thinker and not rational. I always wash before rather than after.’

— BARTON BIGGS, INVESTOR, IN HEDGEHOGGING

La citazione era riportata nell’ultimo libro di Tim Ferriss, 4-Hour Chef. Per quanto uno si possa ingannare, in fondo in fondo l’uomo non è mai un essere razionale, ma un essere abitudinario e, al massimo, razionalizzante. Ora, puoi dimenarti e sbraitare a gran voce che tutto questo non è vero; però la cosa più saggia è fare come Socrate, ovvero cominciare dall’ammettere la tua ignoranza. Una volta che sarai in pace con la tua ignoranza, conoscerai il tuo nemico, e potrai cominciare a combatterlo. Potrai cominciare a mettere in discussione i tuoi comportamenti automatici e a rompere le tue abitudini. In modo da agire, ogni giorno, un po’ più razionalmente.

Italiano medio

Ieri ho visto la prima puntata della seconda serie di Mario. Il protagonista, un conduttore televisivo il cui telegiornale viene acquisito da una perfida multinazionale, viene sottoposto a un lavaggio del cervello per assumere una personalità più consona ai desideri della nuova proprietà. Durante il trattamento, tra le altre cose, vengono date dosi intravenose di un famigerato “estratto di italiano medio”.

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Ora, il punto è questo: chi è l’italiano medio? Sappiamo che la media matematica è qualcosa che in realtà non esiste, e tirando un po’ il concetto l’italiano medio è un individuo che non esiste, ma più o meno li rappresenta tutti. Ci rappresenta tutti. Gli italiani medi non sono quelli che guardano Barbara D’Urso o che vanno al centro commerciale alla domenica pomeriggio. L’italiano medio è un set di comportamenti, e noi lo diventiamo ogni qual volta assumiamo quei comportamenti. Il che non fa di noi delle brutte persone, perché le persone sono molto di più dei propri comportamenti, i quali sono fluidi, cioè cambiano moltissimo a seconda dell’ambiente.

Se trovate qualcuno che disprezza l’ “italiano medio” (che in effetti è molto disprezzabile), starà probabilmente attraverso un meccanismo di proiezione disprezzando una parte di sé. E se uno vuole estirpare questa genia maledetta dalla faccia della Terra deve, prima di tutto, amputarsi una mano, letteralmente. Dopodiché, quando l’inconscio riconosce che non è più un problema interno ma uno esterno, il coinvolgimento emotivo tende a scomparire, e il giudizio sulla realtà è più razionale. La vera battaglia è – come sempre – dentro.

In morte di mia nonna

È poco più di un mese che mia nonna è morta, dopo essere stata in coma per quattro settimane. È stata una cosa improvvisa, come è giusto che sia. È stata nel pieno delle forze fino a un secondo prima di entrare in coma. Ogni tanto avevo fatto l’esercizio mentale di immaginare la sua morte, per vedere le sensazioni e i cambiamenti conseguenti alla sua scomparsa. Ma abbandonavo velocemente quell’esercizio, perché quel giorno mi sembrava  lontano. E invece non era così. Oggi, con un po’ di distanza, posso dire che tutto mi sembra giusto e perfetto. Mia nonna non poteva scegliere momento migliore per andarsene.

Il suo gesto è stato di una generosità immensa. Tutto quello che mi poteva dare, dopo ormai venticinque anni che abbiamo vissuti insieme, me l’aveva già dato. Mi ha insegnato molto. E adesso mi lascia a vivere la mia vita da solo. Non ho rimpianti e penso che, se fosse qui, non ne avrebbe nemmeno lei. Un sacco di storie e di episodi riaffiorano alla memoria. Sono stato ore ad ascoltare i suoi racconti della guerra — a dir la verità molto confusionari.

Voglio ricordarne solo uno. Parlava ogni tanto di quel 10 giugno 1940, la dichiarazione di guerra che lei e sua mamma ascoltarono alla radio. Aveva due parole in particolare per descrivere la folla che acclamava il Duce mentre veniva a conoscenza dell’entrata in guerra: tutti studenti. Detto a uno che è uno studente, fa effetto. Tutti studenti. Io cerco di tradurre, e quindi dico: persone vittime di un sistema di credenze. Che vogliono il trionfo e la gloria facendo l’esperienza della guerra, però senza fare esperienza diretta del dolore, del fango e della morte. Che vogliono usare qualcun altro per fare questa esperienza al posto loro. Un po’ come — facendo un salto fuori luogo e per di più errato a livello cosmogonico — come quando Malanga afferma che l’Uomo Primo ha creato l’uomo per metterci dentro Anima e farle fare l’esperienza della morte, perché lui quell’esperienza non la voleva fare.

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Forse l’unico vero rimpianto è non essere stato abbastanza accanto a lei mentre era ancora viva, ma in coma. È un vero privilegio essere accanto a una persona cara che è in quelle condizioni. Se hai il coraggio di lasciarti penetrare dall’essenza della situazione, tutte le stupidaggini e le trivialità del mondo scompaiono di fronte a una persona in mezzo tra la vita e la morte. In quel momento guadagni la possibilità di vedere la vita per quello che veramente è, un’avventura su questo piccolo piano materiale tra l’immensa molteplicità dei mondi, nel grande ciclo della creazione.

È un utile esercizio pensare che mia nonna sia ancora lì, in coma su quel letto d’ospedale, quando l’anima carnale mi trascina giù. Di sicuro ci sono un sacco di persone nel mondo in quella condizione, anche se non le conosco. Un antidoto sicuro all’attaccamento verso la materia; chi lo beve tutti i giorni è re.

The Max we could afford

È da tempo che non mi occupo del nostro amato Milan. Ciò fa parte della mia involuzione, cominciata due abbondanti anni fa e che ancora devo correggere adeguatamente. Involuzione mia e della squadra, verrebbe da dire. È difficile essere affezionati al nuovo corso come lo si era al vecchio. Quella era una squadra straordinaria, non tanto per i risultati quanto per il talento e il materiale umano da cui era costituito. Era fatta di persone grandi, e non potevi non esserne innamorato. Epperò capita che nelle mie visite al bar a prendere uno squallido caffè, quelle pagine rosa hanno un giorno hanno qualcosa di più interessante del solito. Intervistano Paolino. Sentir parlare un rossonero vero mi scalda il cuore. Mi ritorna un po’ di passione. E allora, ecco quello che penso.

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Sono sempre stato un difensore di Max, ma sono anche d’accordo con l’esonero. Era un allenatore già esonerato a inizio stagione, come si poteva andare avanti così? Allegri è un cocciuto, avrebbe potuto andarsene via da gran signore, lasciando in Milan in una situazione di evidente difficoltà (allenatori buoni e liberi sul mercato non ce n’erano). E invece voleva dimostrare di essere ancora una volta superiore a tutti gli ambienti ostili del mondo. Non c’è riuscito. Ma a lui va uno dei migliori ringraziamenti. Ha dimostrato di essere una persona vera, a cui il Milan piaceva veramente.

Seedorf chissà se andrà bene, chi lo può dire? Certo che così rischia di bruciarsi. Come può un allenatore alla prima esperienza fare un grande impatto, subito? Infatti non l’ha fatto. E sono già arrivate le voci di esonero. Galliani prima gli fa firmare un contratto fino al 2016 e poi dopo qualche sconfitta si parla già di esonero. In Inghilterra Rodgers ha fatto una prima stagione al Liverpool da schifo, ma nessuno ha dubitato di lui. L’hanno lasciato lavorare, con la dovuta calma. Ad ogni modo ha un sacco di idee interessanti Clarence. Prima su tutti la storia di un allenatore per reparto, come ho creduto giusto da sempre. Vedremo come andrà, nella speranza che a questo 2016 ci arrivi davvero, e che in fatto di mercato abbia più potere.

Galliani se ne deve andare. Subito o a giugno poco cambia. Il mercato di gennaio è stato un numero, un autentico numero. Essien e Rami sono giocatori di calibro. Ma è lui il colpevole di questa stagnazione. Dei diecimila parametro zero con quattro milioni di euro di ingaggio. Del filo diretto con Raiola. Degli acquisti a cazzo. Del monte ingaggi esorbitante per un roster mediocre.

La squadra c’è, ma non ha la mentalità giusta. Per costruire una mentalità ci vuole tempo, un sacco di tempo. Per ragione economiche qualcuno a fine stagione se ne andrà. Certo, la squadra c’è, ma non a questo prezzo. E allora bisogna avere uno scheletro di italiani per fare una fondazione a lungo termine. Montolivo, De Sciglio, El Sharaawy. Ci mettiamo anche Balotelli? Chissà. Bisogna andare a prendere qualche buon giocatore a poco prezzo, e che prenda poco di ingaggio, funzionale al gioco della squadra. A fare un 4231 ci vuole tempo. Non te lo inventi dalla mattina alla sera. Se si vuole rimanere con Seedorf, vada pure bene un nucleo di olandesi a fianco degli italiani. Emanuelson e De Jong, potrebbe arrivare qualcun altro. Bisogna costruire dei nuovi senatori. Il Milan è sempre stato anche quello.

La mentalità dell’abbondanza

Dio disse: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va’ nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò».
Abraamo si alzò la mattina di buon’ora, sellò il suo asino, prese con sé due suoi servi e suo figlio Isacco, spaccò della legna per l’olocausto, poi partì verso il luogo che Dio gli aveva indicato.
Il terzo giorno, Abraamo alzò gli occhi e vide da lontano il luogo. […] Abraamo prese la legna per l’olocausto e la mise addosso a Isacco suo figlio, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. […] Giunsero al luogo che Dio gli aveva detto. Abraamo costruì l’altare e vi accomodò la legna; legò Isacco suo figlio, e lo mise sull’altare, sopra la legna. Abraamo stese la mano e prese il coltello per scannare suo figlio.

(Genesi 22)

Quante persone uno conosce che non hanno il coraggio di tagliare una relazione in cui non stanno bene, o peggio stanno malissimo, solo perché la solitudine sarebbe una cosa più dolorosa?

La rana si trova bene nell’acqua tiepida, mentre là fuori è freddo. Tanto bene l’acqua è tiepida, tanto meno scotta, tanto più la rana sarà invogliata a rimanere nel bagno, inconsapevole che di lì a poco sarà carne bollita. La mediocrità è una trappola subdola, perché l’uomo è essere infinitamente adattabile. E se l’adattamento è sufficientemente lento, risulta impercettibile.

I meccanismi automatici di protezione dal dolore scattano dalla limitatezza dell’ego umano, che si considera sempre povero e cerca solo di proteggere quello che ha. Una mentalità della scarsità impedisce di prendere rischi (rischi calcolati, beninteso), di perdere un po’ di sicurezza e anche di felicità oggi per conquistare qualcosa di migliore domani. Perché si può fallire. Anzi, si fallirà di sicuro. Per l’ego è meglio andare incontro a una morte certa (l’acqua bollente) che sembra un dolce sonno piuttosto che saltare fuori e provare dolore, insicurezza, solitudine, subito.

La mentalità dell’abbondanza implica invece la comprensione di un concetto che già gli stoici e i buddisti avevano riconosciuto: l’uomo è più delle proprie emozioni, è più anche dei propri pensieri. Il cervello è una stupida massa di carne che ti tenderà una trappola dietro l’altra; sta a te conoscere e amare il tuo nemico. Per Abramo Isacco era tutto. Era la discendenza che Adonai gli aveva promesso. Era il figlio insperato concepito a tardissima età; sarebbe stato impossibile averne un altro. Eppure non ha paura di perdere quello che ha. Si fida che se Adonai vuole togliergli Isacco, sarà per dargli qualcosa di migliore. Crede nelle infinite possibilità che si aprono a chi ha voglia e coraggio di rinunciare a se stesso.

E così facendo, vince.

L’angelo del SIGNORE chiamò dal cielo Abraamo una seconda volta, e disse: «Io giuro per me stesso, dice il SIGNORE, che, siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo, io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza s’impadronirà delle città dei suoi nemici.