No screen rule

Ho intenzione di fare una cosa per i prossimi sette giorni. È da lungo tempo che ce l’ho in mente e credo, visto anche il periodo di esami alle porte, che sia giunta l’ora di adottarla. No screen rule: dopo il crepuscolo (mezz’ora dopo il tramonto, stando al codice della strada), niente schermi. Niente computer, iPad, iPhone. La televisione già non ce l’ho. Il telefono lo dovrò spegnere, per non essere disturbato.

A pensarci bene, non è che un mero salto nel passato di vent’anni. Se ci aggiungiamo la tv, di anni ne facciamo sessanta, al massimo. Meno della vita di un uomo comunque. Eppure è una cosa che, al primo pensiero, mi sgomenta. Mi sgomenta perché questa vita, fatta di schermi, è ormai una parte di me. È un’abitudine totalmente radicata, un pezzo della mia psiche. Come sempre, amputarsi (“Se la tua mano ti è di scandalo, tagliala”) è un processo di paura e di dolore. Poi di liberazione. Come sempre avrai contro il tuo ego, e quello degli altri (cfr. tutti i non risvegliati di Matrix sono da considerarsi nemici).

Lo faccio nello sforzo di ricreare l’ambiente paleolitico. Quando il fuoco bruciava basso, era l’ora del confronto con noi stessi.  Era l’ora dell’integrazione del nostro io, l’ora della meditazione profonda. Era l’ora del tempo morto. Oggi quel tempo è stato sostituito dai continui stimoli sensoriali e dalle altrettanto continue distrazioni. Non sono veri sostituti.

Lo faccio nell’intento di tornare con una coscienza, almeno un poco, trasformata. Non è che non avrò nulla da fare, tra studio, letture “analogiche” ed esercizi. Spero di poter comunque meditare a lungo. Staremo a vederne gli effetti.

Da oggi a sabato prossimo. Questo è il giorno uno.

Fire

Teach us to sit still

Ho cominciato a meditare. Regolarmente è una parola grossa, ma ho cominciato. Ho letto La forza della meditazione di Daniel Goleman (il tipo dell’intelligenza emotiva), e mi è particolarmente piaciuto. Ovviamente non è la lettura del libro che mi ha spinto a meditare, quanto viceversa: la mia curiosità di cominciare mi ha fatto comprare il libro. È stata una lettura molto bella, e ho trovato conferme su dei punti che erano da sempre una mia vecchia idea, cioè che:

  1. La crisi delle attuali religioni istituite è derivata proprio dal fatto che pochi fanno esperienza personale del sacro, cioè che pochi hanno avuto o conosciuto qualcuno che ha avuto esperienze mistiche nella propria vita; che le esperienze spirituali personali non sono incoraggiate, mentre tutta l’importanza è riversata in squallide cerimonie pubbliche.
  2. La preghiera nelle religioni cristiane è solo l’ultima sopravvissuta, la più semplice di tutta una serie di pratiche contemplative più intense. Ciò è osservato anche da Thomas Merton (1960). In pratica i nostri egregi pastori, madonna di Medjugorje compresa, propagandando così tanto la preghiera non fanno che tarpare le ali a molti individui con grandi potenzialità spirituali. Che non vuol dire che la preghiera sia male, anzi, ma è solo una parte del tutto.
  3. Le tradizioni orientali sono una cultura esoterica che insegna come fare ciò che le religioni popolari dicono che deve essere fatto: la trasformazione della coscienza. In pratica la perdita (o meglio, il sotterramento) della tradizione esoterica occidentale ha fatto in modo che le religioni, pur predicando la conversione dell’uomo, il risveglio dell’Adamo primordiale, non dicano come si fa perché non sanno come si fa (ok, a parte dire un rosario al giorno). Ciò è terribilmente disorientante e produce la quantità esorbitante che conosciamo di cristiani delle messe di Natale e Pasqua. Le religioni orientali invece forniscono anche la Via.

Inoltre, a parte la speranza e la volontà di raggiungere stati di coscienza più illuminati, sono da contare anche i benefici fisiologici della pratica meditativa. Per me, che negli Stati Uniti mi si diagnosticherebbe subito l’ADHD, la prospettiva di allenare la mia mente all’attenzione e di ottenere una coscienza più lucida e concentrata è allettante. Notare bene: questo aspetto non è scollegato da quello spirituale, dato che, come ogni buon alchimista sa, bisogna lavorare sulla materia, sulla biologia, per poter avere uno sviluppo spirituale. Come ho sentito dire in altre parole, se il peccato originale viene eliminato, la materia torna ad essere sacra.

I benefici della meditazione sono innumerevoli, incredibili, non solo limitati al campo di “mente più lucida”. Ricordo Richard Bandler riportare l’affermazione che 20 minuti al giorno di meditazione risolvono qualsiasi problema. Se non è così, quasi. Ciò farebbe sembrare la meditazione troppo bella per essere vera; in realtà questi benefici non si ottengono dal giorno alla notte, ma dopo mesi, anni, di dedizione alla pratica. Voglio elencare i risultati di alcuni studi come riportati nel libro di Goleman:

  • Goleman e Schwarz (1976) hanno trovato che meditatori esperti confrontati con un gruppo di non meditatori, sottoposti alla visione di un filmato di sanguinosi incidenti di falegnameria, presentano una reazione allo stimolo superiore; ma non appena il filmato è passato, si riprendono dall’eccitazione in modo più marcato dei non meditatori. In altre parole, la mente di un meditatore è più pronta a reagire allo stress, e più rapida a lasciarlo. È meno soggetta all’ansia, definendo l’ansia l’incapacità di abbandonare la reazione di stress corporea quando un problema o un pericolo è finito.
  • Schwarz, Davidson, Margolin, hanno trovato che i cervelli dei meditatori di Gurdjieff presentano un’elevata specificità della corteccia, cioè la capacità di attivare solo le aree del cervello necessarie al compito del momento, lasciando invece inattive le aree irrilevanti. Questo implica un aumento delle capacità di rilevamento sensorio e di controllo muscolare. Questa specificità della corteccia, avere la mente perfettamente concentrata e il corpo rilassato, è quella che permette al maestro di karate di rompere il mattone, e non la sua mano.
  • Kiecolt-Glaser (1984-85) ha scoperto che gli anziani residenti di una casa di riposo che usavano un esercizio di rilassamento mostravano un aumento significativo delle loro difese immunitarie contro tumori e virus.
  • Patel et al. (1985) hanno trovato che la meditazione più sostituire il trattamento farmacologico per l’ipertensione, fino a quattro anni dopo che la pratica è stata interrotta.
  • Surwuit (1983) scoprì che il training di rilassamento migliorava la regolazione del glucosio in pazienti con diabete in età adulta.
  • Kobat-Zinn (1985) trovò che la meditazione abbassava la dipendenza dagli antidolorifici e diminuiva il livello di dolore nei sofferenti cronici.

E l’elenco è molto più lungo e articolato, in realtà.

Ma parliamo dei miei risultati. Quello che mi ha sorpreso, non potendo ancora osservare i risultati a lungo termine, è che bastano dieci minuti di meditazione perché la mia mente sia sensibilmente più lucida, sgombra, libera da pensieri e preoccupazioni, per la successiva ora–ora e mezza. È un ottimo modo per calmarmi quando sono agitato o preoccupato.

Come medito? La posizione è importante, ma anche no. Pensavo fosse difficile meditare da seduti, ma in realtà non è così, a patto che si tenga una posizione corretta di seduta (che sembra più scomoda, ma meditando risulta essere più comoda di una posizione stravaccata o incurvata). Si può anche stare distesi, in questo caso la meditazione potrebbe trasformarsi in un pisolino, ma sinceramente non mi importa. La mia posizione preferita è però questa qui, che ha il vantaggio di avere degli ottimi effetti sulla mia povera schiena (fatta ai piedi del letto o del divano e non di una scatola):

Ho trovato che per iniziare è più facile ed efficace usare una meditazione guidata, io uso Mindfullness Meditation per iPhone. Equanimity è un’altro bellissimo timer per la meditazione che, pur non fornendo nulla di guidato, crea una serie di statistiche e grafici sulla tua pratica.

Oggi come oggi sono solo all’inizio di questo viaggio, e non vedo l’ora di scoprire come andrà avanti. Un ultimo punto sulla diffidenza verso la meditazione che è propria non solo dell’uomo della strada, ma anche del teologo cattolico, dell’ateo scettico, del buon cristiano. Ciò che accomuna questa persone è di appartenere, volenti o nolenti, alla nostro cultura. Lascio che si Goleman ad affrontare il problema:

“La cultura modella la consapevolezza perché si conformi a certe norme, limita le tipologie di esperienza o le categorie per l’esperienza disponibili all’individuo, e determina l’appropriatezza o accettabilità di un determinato stato di coscienza o il suo rapporto con la situazione sociale. […]

Nella misura in cui la realtà è una convenzione convalidata dal consenso, ma arbitraria, uno stato alterato di coscienza può rappresentare un modo di essere antisociale e irregolare.”

Leaving Facebook never easy

Non sono più su Facebook. Non che lo usassi molto prima, ma lo controllavo spesso. Leggevo quello che i miei amici scrivevano. Ora non più.

Come con tutti i buoni cambiamenti, sono passato dal “come farò a vivere senza” al “come ho fatto a non liberarmene prima”. È stato un buon cambiamento infatti. Pensavo sarebbe stato difficile liberarmene, invece così non è stato. Dopo qualche giorno in cui un meccanismo automatico mi faceva cercare invano l’icona blu tra quelle delle mie telefono, il pensiero è completamente sparito.

Ho scritto più volte di quanto gli esseri umani siano stupidamente resistenti al cambiamento. E da semplici osservazioni si può notare che non solo essi stessi lo sono, ma spesso combattono attivamente contro il cambiamento altrui. Per dirla con Morpheus in Matrix: “Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo”. Questo succede anche quando esci da Facebook. I tuoi amici vogliono che ritorni. Non c’è una motivazione particolare. Non uno che dica che hai fatto bene.

Uscire da Facebook non è solo avere meno distrazioni o un’ora in più di produttività al giorno. È qualcosa che ti cambia in un piano più profondo. In realtà, questo è l’ultimo anello della catena che per me è partita dall’aver buttato via il televisore, dal non leggere più i giornali né siti di notizie. Ultimamente ho limitato anche la lettura dei feed e di Twitter, che sono gli unici media moderni di cui mi servo. Blog e Twitter. Ovvero informazione e letture selezionate sugli argomenti che decidi tu, scritte dalla persone che ti scegli tu.

Dicevo, è qualcosa che ha effetti nel profondo. Una volta eliminato tutti ciò che è falsamente importante o falsamente urgente, hai tempo per dedicarti a quello che è veramente importante. Che l’economia va bene o male è importante, ma non è importante che tu lo sappia. Lo stesso vale per cosa sta facendo un tuo amico in questo momento. È importante per lui, ma non è importante che tu lo sappia. Ma tutto è presentato cose se fosse importante perché così è la professione del giornalista e così è impostato Facebook.

Il common sense dice che è importante tenersi informati, aggiornati. Tranne che non è vero. Tenersi aggiornati è solo un sonno che distoglie da quello che è importante per te. Per te è importante acquisire delle nuove conoscenze, imparare delle nuove abilità, migliorare la tua persona. Lavorare sui tuoi obiettivi. Per fare questo devi avere la mente sgombra, devi avere tempo per trovare ispirazione e creatività. Il cervello è una scimmia fastidiosa, un puledro impazzito, una pigra e vorace tenia. Ha fame di informazioni, è eccitato dalla novità, è intrattabile nella confusione e nel labirinto dei suoi pensieri. Il modo per vincere è domarlo. E questo l’hanno capito migliaia di anni fa i fondatori del Buddismo, e nel XXI secolo i manager e gli ingegneri di Google o Apple. Chiedete loro quante ore di internet concedono ai loro figli settimanalmente. Una? Due? Chiedete loro cos’hanno regalato loro per Natale. Di sicuro non il Nintendo 3DS. Questo mentre i figli del popolo di ore su internet ne passano cinquanta a settimana, mentre i tecnocrati dell’ultim’ora mettono lavagne elettroniche e tessere magnetiche nelle scuole.

Steve Jobs senza LSD e meditazione non sarebbe stato lo stesso. È un tema che emerge dalla prima parte della biografia di Isaacson. E ci credo. LSD e meditazione sono strumenti per domare la bestia. Una volta spento il flusso inutile dei tuoi pensieri, che contengono preoccupazione sul futuro e ruminazioni sul passato, ti puoi concentrare sull’ora. E allora puoi fare grandi cose.

Un’altro aspetto è la negatività. Banalmente, la maggior parte delle notizie è negativa. La maggior parte delle cose che leggi su Facebook sono lamentele, o altre espressioni della miseria umana. Quando smetti di cibarti quotidianamente di questi cibi, la tua vita diventa più serena.

Ed è vero. È vero per me. Sono molto più sereno, ho la mente più sgombra. Sono più felice. E questi sono dati di fatto. C’è meno spazio nella mia vita per le arrabbiature, le preoccupazioni, la felicità isterica. Potrei persino smettere di rispondere male a mia mamma. Sarebbe davvero the end of the world.

Infidi tecnici

Non vi venga mai l’idea malsana di omettere il catalizzatore se vi trovaste nelle condizioni di usare una vernice bicomponente (cioè che lo richiede). Anche se il venditore trascura di dirvi che dovete usarlo. Il sottoscritto arriva da otto ore in due giorni di scartavetrare. A causa di ciò.

Tutto questo si incastra in un altro dei temi ricorrenti di questo blog: diffidare dai tecnici, sempre. Corollario: se c’è qualcosa che puoi fare (o imparare a fare) tu, non pagare un qualche tecnico per farlo al posto tuo. O rimpiangerai amaramente di averlo fatto.

Tra le categorie peggiori da portare a esempio ci sono ovviamente i meccanici. I parlamentari (altri “tecnici”) non sanno cos’è lo spread o chi è Monti, ma i meccanici non sanno nemmeno cambiare l’olio (2007), figuriamoci distinguere un filtro dell’aria di cotone da uno di carta (2008). Non parliamo poi di diagnosticarti male un problema, comprare pezzi quindi non necessari, trovare il vero problema, farti una riparazione che dopo due settimane cederà, romperti nell’atto un passaruota (nascondendo tutto, ovviamente), presentandoti un conto di 200 euro (molto tristemente, 2011). La riparazione l’ho rifatta io ed è venuta benissimo.

Ma non posso dire altro che di essermelo meritato. Bisogna prendere tutto quello che un meccanico, venditore di colori, idraulico, consulente finanziario (ancora peggio!) dice per falso. Pena una temibile nemesi karmica per non aver usato la tua testa.

Vienna

Pensieri sparsi sul mio breve soggiorno a Vienna. Attenzione: non li ho riletti. Se fossi in vena di lamor limae li intermezzerei con versi. In particolare Ash Wednesday di T.S. Eliot. Se fossi un lettore poi metterei nelle orecchie l’ultimo disco dei Coldplay, Mylo Xyloto.

In genere quando parto per un viaggio ho aspettative talmente basse che è impossibile rimanere deluso. Così sembra essere stato anche per questo mistico ponte dei morti (o dei santi?), nell’età in cui le prime nebbie cominciano ad alzarsi nei campi la mattina, le prime nebbie cominciano ad addensersi nella mia testa per poi inevitabilmente avere una crisi, più in là, avanti. Ma viaggiare verso nord è sempre stata un’attività gradita al mio animo. Prima o poi conquisterò anche l’est, ma per ora il nord va bene.

Vienna si dice fosse un crogiolo di culture in qualche tempo ormai andato e sicuramente da rimpiangere o forse no. E così mi piace ancora pensarla oggi. Mi immagino Vienna con l’imperatore e il divano di Sigmund, con i vari Haydn, Schubert che suonano agli angoli delle strade come mendicanti qualunque. E un po’ è ancora così dato che arrivi in autostrada e pensi di vedere macchine con targhe austriache? Noooo!Ci sono italiani, ungheresi, cechi, sloveni, tedeschi.

Il traffico austriaco è veloce, ma composto. Le auto sgommano ripartendo al semaforo e curvano senza frenare, ma si fermono anche prima che il pedone manifesti l’intenzione di attraversare la strada. E’ evidente che gli austriaci amano il codice delle strada. Ci sono piste ciclabili dappertutto, e nessuno ci cammina sopra. Gli austriaci sono anche matti per i limiti di velocità. In città li vedi andare tutti a 55 all’ora, precisi come se fossero regolati da un computer centrale, come se fossero semplicemente appoggiati ad un nastro trasportatore. Ogni tanto c’è qualcuno che va a 57, e supera. 

Nei pezzi di autostrada in cui per qualche motivo c’è un limite più basso (100 all’ora), per quanto siano minuscoli (tempo di entrare e uscire da una galleria), l’austriaco frena, raggiunge la velocità di crociera di – l’hai indovinato – 105, e non appena passa il cartello che abolisce il limite precedente, apre a tutta finché non arriva ai 130.

Arrivo in albergo desideroso di mettere alla prova il mio tedesco, magari evitando di impappinarmi completamente alle prime tre parole come peraltro feci alla prima volta a Londra, suscitando la comprensibile ilarità dell’immigrato indiano alla reception (quale disonore). Tra una cosa e l’altra riesco anche a farmi dare la password della connessione wi-fi. Collego il telefono assetato di dati come un cane nel deserto lo è di acqua e subito un’invadente notifica turba il mio tranquillo principio di viaggio: “Risultato finale: Chelsea-Arsenal 3-5”. MA RAGAZZI, MI VOLETE MORTO? Cos’è successo a Stamford Bridge? Cosa avete combinato? Sono risultati che vanno metabolizzati piano piano, non li posso digerire così, tutto in un boccone.

Esco ad esplorare il centro. C’è poca gente in giro, nonostante sia una capitale. Mi pare di aver pensato lo stesso riguardo a Lubiana. Cinque minuti di strada e sono davanti all’imponente municipio. Evidentemente i miei non hanno studiato molto di storia medievale, perché subito si chiedono se il municipio fosse, chessò, un’ex-chiesa. Nono, rispondo io guardandoli stralunato, è sempre stato un municipio. Loro mi guardano ancora più stralunati. E’ un momento di stallo. Sono stato a Monaco, Amburgo… Son tutti così, capite quanto possono essere matti i mercanti protestanti. Non sono ancora molto convinti.

Un po’ più tardi, mentre ne ammiro ancora i pinnacoli, vengo avvicinato da un vecchio signore: “Entschuldigen Sie, ist dieses das Stephansdom?”. Un altro che l’ha scambiato per una chiesa. Sarò io quello matto.

L’illuminazione stradale qui è gialla al punto giusto e molto soffusa. Se uniamo ciò alla abituale nebbiolina serale, al bianco pulito dei palazzi e al verde del rame ossidato delle guglie e dei campanili, ne risulta un’armonia di colori che non diresti possa venire altrimenti che da un mondo fantastico di imperatori e principesse. Sono nella piazza davanti all’Hofburg, la residenza degli Asburgo. Gli urbanisti di tutto il mondo (ammesso che ne esistano ancora) dovrebbero venire qui, distillare quest’atmosfera e riprodurla in tutto il mondo. Anche i legislatori che riempiono di lampioni le strade e vogliono i fari accesi anche di giorno: per rendersi conto della semplice realtà che di notte, con molta luce, si vede poco. Con poca luce, si vede molto.

Da un portone dell’Hofburg esce qualche persona. Sono le sette passate. Metto il naso dentro. C’è la “biblioteca nazionale”. Non dev’essere male venire a studiare nella casa dell’imperatore. Di sicuro meglio di piazza Mercato a Marghera.

La piccola rotondina trilobata che costituisce il centro del centro di Vienna, da una parte l’Hofburg e dall’altra la via più commerciale della città, è gremita di sabato pomeriggio. Al centro, un uomo, giovane e vestito elegante, suona il violoncello. Appoggiati a una muretta, una cinquantina di turisti lo ascoltano intentamente. Una ragazza lo guarda rapito. Uno che era uscito a pattinare si improvvisa qualche figura mentre fa lo slalom tra i passanti. Ecco la Vienna che volevo.

Ecco la Vienna che volevo. Ecco la Vienna che… Ecco la… Come non detto. STA… STAR… STARB… No non può essere. Non può essere. Sì, è proprio così. C’è uno Starbucks. Lì, nel centro del centro. E non sarà l’ultimo. Alla fine della gita, ne avrò visti almeno altri tre.

Italiani ovunque, italiani anche qua. Donna che parla e si lamenta: “Pecccché a MMilano c’è la Rinascente… Là trovi tutto… Qua non c’è la Rinascente”. Potevi startene a RRRegggiocalabbria e non venire a rompere i maroni qua.

Gli austriaci sono matti per il codice della strada, ma adesso so che sono matti anche per la camminata sportiva. Li vedi arrivare, a volte soli ma spesso anche a coppie, marito e moglie o semplicemente morosi, cuffie nelle orecchie e ipod nano clippato alla maglia, aderente e in tessuto tecnico. Pantaloni lunghi attilati, fascia per le orecchie e talvolta guanti. Scarpe da corsa. Ma camminano. Camminano. Un po’ veloce sì, ma – che diamine – camminano.

Verso le nove le vie del centro si affollano. Era ora. C’è comunque meno gente che in una qualsiasi città italiana, ma ce n’è. Un uomo si mette a suonare la chitarra davanti alla vetrina di un negozio. E’ questa la Vienna che conosco. Sento provenire delle urla da più avanti. Degli sbraiti. Cammino. Mi avvicino. C’è un uomo, o meglio dire ex-ragazzo, con la chitarra al collo che canta, stempiatura avanzata e capelli pettinati all’indietro con la brillantina. Di fronte a lui, un gruppo di quattro cinque sostenitori casuali che canticchiano e battono le mani. Pian piano le urla prendono forma e chiarezza e mi permettono di intendere. Sta cantando i Credence Clearwater Revival. Non ci posso credere. Mi stropiccio un po’ gli occhi, ma lui cambia canzone. E’ The House of the Rising Sun. Mio papà: “Ma questa è dei miei tempi… La cantavo con la chitarra. Che strano, quel tipo è giovane”. Guarda meglio, papà, guarda meglio.

Vicino all’Hotel Sacher, o meglio stretto tra l’Hotel Sacher e il Cafè Mozart, di fronte al teatro dell’opera, c’è un negozio di vestiti. Vendono bastoni da passeggio e ombrelli in abbondanza. C’è anche l’Acqua di Parma. Serietà.

Dietro all’Albertina, che è un palazzo sempre sede di esposizioni di quadri, c’è un parco con una serra. Imponente solo come avevo visto nel film di Batman. Parcheggiata davanti alla serra, una Citroen d’epoca. Mio papà fa una serie di apprezzamenti. Io annuisco ma un po’ nicchio. Dopodiché mi accorgo di una cosa. Il volante. Ha una razza sola. Favolsa favolosa.

Di nuovo alla rotondina trilobata. Passa un chopper. Un vero chopper. Tre ruote: quelle posteriori da almeno 300, a occhio. Un tamarro austriaco ben piazzato in mezzo. Sull’asse posteriore, una cassa di legno. Di almeno ottanta centrimetri. Dentro, un cane che guarda fuori curioso i turisti.

Sera sulla Kärtnerstraße. Un mimo, di quelli che stanno fermi fermissimi tutto il giorno, si è appena sfilato il suo costume. Avrà circa sessant’anni. Ha ripiegato tutto dentro una valigietta dagli angoli consumati e piena di adesivi, non tutti ormai ancora attaccati perfettamente. La faccia è ancora truccata. Così, con la valigia in mano fissa il suo angolo di lavoro, il suo quadrato di pavimentazione, come se dovesse controllare di aver preso tutto. Di non essersi dimenticato qualcosa. Poi guarda i passanti. Poi ancora il pavimento, per lunghissimi secondi. Sempre fermo sullo stesso posto, come se non avesse davvero voglia di smontare e andare a casa, come se la giornata fosse stata troppo breve, come se volesse lasciare lì la sua ombra ancora per tutta la notte. Io passo a fianco a lui. Cerco di incrociare il suo sguardo, ma non lo trovo. Vado avanti una ventina di passi, mi giro. E’ ancora lì. Altri venti passi, mi giro di nuovo. Ancora non si è mosso da quell’angolo di Kärtnerstraße.

Schönbrunn è il crogiolo dell’imbuto dei turisti di tutta la Mitteleuropa. È perciò un posto dove provo sofferenza solo a starci, in questo lunedì 31 ottobre. Sono modernizzati e organizzati per visite in massa di folle ansiose di stupirsi delle stupide sale degli imperatori. Macchinette per i biglietti, depliant e commesse che parlano multiple lingue, indicazioni ovunque su come incanalarsi in coda e su che percorso seguire. C’è persino il wifi gratuito su tutta la residenza. Quest’ultima cosa, confesso, mi piace. 

Ad ogni modo sono gli aspetti della vita privata quelli che più mi interessano. La risposta alla domanda: cosa vuol dire essere imperatore? 

Franz Joseph e Sisi si sposano nel 1861, con lei ancora quindicenne e nel fiore degli anni, in una fase di alta manipolabilità. Dal 1871 dormono in camere separate. Pensavo che fosse perché, in effetti, a 25 anni la fase di decadenza è ormai iniziata, e l’imperatore volesse liberarsene per poter accedere a più giovane compagnia. 

Inoltre vengo a sapere che Sisi teneva molto alla sua linea, e che periodicamente si sottoponeva a fasi di digiuno per dimagrire. Questo è un altro segno che si sente in dovere di rimanere in forma per il suo marito alpha, vero?

E invece no. Nonostante l’imperatore amasse perdutamente Sisi, questo amore non ed ricambiato, come si evince dai suoi diari. Alla luce di tutto ciò ella si teneva magra per l’istinto di combattere l’età ed essere pronta per la venuta di un uomo migliore nella sua vita. Cosa che non sarebbe mai potuta accadere, peraltro. Scopro anche che, a tavola, mangiavano sempre l’uno di fronte all’altra. Terribile. Morale della favola: puoi essere anche l’imperatore con il regno più grande del mondo, ma se non sei alpha, non lo sei. 

Come lavorava sua maestà? Sembra che passasse gran parte del suo tempo seduto alla scrivania, a lavorare fino a sera sulle carte dell’impero. La sua giornata cominciava invece con la sveglia alle 5 del mattino. È evidente a chiunque che l’imperatore, pur pieno di buona volontà, non sapeva fare bene il suo mestiere. Se hai da lavorare, ogni giorno, fino a notte fonda, significa che sei tu a costituire un collo di bottiglia per il funzionamento della macchina statale. Avrebbe dovuto cominciare dallo scegliersi un gruppo di collaboratori fidati, e delegare. 

Per visitate le residenze imperiali ti forniscono gratuitamente di una specie di ricetrasmittente. Per audioguidarti. Bello. Ascoltare le voci registrate è sempre divertente. Alla fine del tour, ho preso il foglio di valutazione della visita. L’ho compilato. Ho scritto, voglio Siri. 

Negozio di Schönbrunn. Bibbbite caramelle palle di Mozart ovunque. Vari oggetti di pessimo gusto. Un cd di musica classica ha il seguente titolo: Don’t get stressed, get Straussed.

La via con i migliori negozi di Vienna, il Grauben, ha palazzi antichi, palazzi nuovi, e palazzi antichi restaurati. Uno di questi ultimi, ha delle alte vetrine con fondo scuro. Cornice in oro, marmi verde scuro a completare la facciata. Portone imponente in legno. Dentro venda una marca di abbigliamento. Hermés? Louis Vuitton? No, H&M.

Blessed sister, holy mother, spirit of the fountain, spirit of the garden,
Suffer us not to mock ourselves with falsehood
Teach us to care and not to care
Teach us to sit still
Even among these rocks,
Our peace in His will

Non morirò correndo

Da credere o no, ho sempre avuto un po’ paura dell’evenienza di un improvviso arresto cardiaco nel mezzo di una delle mie tante corse di decine di chilometri. Non mi piacerebbere rendere un così facile e rapido servizio a tutti coloro che mi vogliono morto. Più che altro, come tutti gli uomini, ho paura del non strutturato (direbbe l’indimenticabile Eric Berne). Questi accidenti non danno il minimo preavviso. O forse sì.

Ho scoperto che uno, forse unico, di questi segnali è la cosiddetta HRV (Heart Variability Rate) o intervallo R-R, come è chiamato dai cardiologi. L’intervallo tra due successive contrazioni ventricolari è molto molto variabile. Perché un cuore ben in forma si adatta a ogni minima variazione dello stato psicofisico del suo portatore. E’ come un elettrone con la sua nuvola di probabilità. Non bastasse questo, la HRV risulta anche essere un utile parametro di allenamento. Essa diminuisce in caso di affaticamento o in condizione di particolare stress. Quindi probabilmente non passerò più le ore ad arrovellarmi per decidermi se allenarmi (e allenamento leggero o pesante?) oppure prendere una giornata di riposo. La HRV deciderà per me. Devo essere contento o no?

Simon Wigerif, un ingegnere inglese, ne ha costrutito un sensore e un’applicazione per iPhone. E’ arrivato oggi. In una busta di materiale riflettente, raffinatezza che solo un compagno ingegnere poteva fare (lascio all’astuto lettore capire perché). Me la sono subito misurata. La normalità è tra 50 e 100, c’era scritto. 95. Sono molto triste, pensavo di essere stanco e non lo sono. Domani farò meglio ad allenarmi e ad allenarmi duro.

Approfondimenti:
http://www.elemaya.it/Xheartvar.htm
http://quantifiedself.com/2010/04/numbers-from-the-heart/ – Interessante questo, dove la meditazione sembra avere effetti incredibili sulla HRV

Ci sono stati degli anni bui. Gli anni che vanno dal 2007 al 2009. Adesso è meglio, decisamente meglio. Ma mi sento mancare il respiro, è come se avessi perso troppo tempo e adesso non  corressi abbastanza veloce per recuperarlo. La mia rinascita è stata accompagnata dalla rinascita della mia lettura. In quegli anni non penso di aver letto nemmeno un libro. Oggi, per ricordarmi chi sono e cosa ho fatto, scrivo la lista dei libri che ho letto negli ultimi 365 giorni:

Tim Ferriss – La settimana da 4 ore
Tim Ferriss – The 4-hour body
Vadim Zelan – Lo spazio delle varianti
Vadim Zelan – Il fruscio delle stelle del mattino
Richard Bandler – Il potere dell'inconscio e della PNL
Richard Bandler – Vivi la vita che desideri con la PNL
Ted Garratt – PNL per lo sport
Corrado Malanga – Angeli e Demoni
Derren Brown – I trucchi della mente
Derren Brown – Pure Effect
Ciro Imparato – La tua voce può cambiarti la vita
Luigi Moraldi – I vangeli gnostici
Mary Bond – Equilibrare la postura
Jay Heinrichs – L'arte di avere sempre l'ultima parole
Eric Berne – A che gioco giochiamo
Carmine Gallo – The presentational secrets of Steve Jobs
Jeremy Soul – Daytime Dating
Allan Pease – Body Language
Paul Ekman – La seduzione delle bugie
Mirando Gurzo – La luce della conoscenza

Ebook che definire libri è un po' esagerato (per mancanza di quantità o di labor limae):
David DeAngelo – Double Your Dating
Dantalion Jones – Mind Control 101
Giacomo Bruno – Lettura Veloce 3x
Giacomo Bruno – PNL segreta
Giacomo Bruno – Ipnosi segreta
Corrado Malanga – Genesis
Corrado Malanga – Genesis II
Vicenzo Iavazzo – Forex Trading System
Nicola D'Antuono – Trading nel Forex
Robert Benson – Cristo nella Chiesa

Contento? Sì e no.

Qui si fa raramente qualcosa senza uno scopo. Yogo e Fujihara (2008) hanno dimostrato che scrivere di un fatto traumatico (o dei propri problemi), per 20 minuti qualche volta al mese, migliora la memoria in modo misurabile. 

Ieri avrei dovuto correre la Moonlighthalfmarathon. Avrei dovuto. Ci sarebbe da chiedersi perché questi dannati organizzatori (sempre quelli della maratona di Venezia) ha la mania di dare il nome in inglese. Siamo nel 2011, il nome in inglese non è più di moda. Andava di moda negli anni '70, '80. Ora si rivaluta la località, per dirla come direbbe uno Zaia qualunque. Anche sulla scelta del nome c'è da chiosare: "moonlight" sa tanto di anni '60, quando la notte era un territorio ignoto tutto da conquistare. Ora ha annoiato. Quindi, suggerimento ai quei matusalemme degli organizzatori: la parola magica, nel XXI secolo, è "sunset". Ma sto divagando. 
Il fatto traumatico è che, ore quattro del pomeriggio, mi presento in piazza Mazzini a Jesolo per ritirare il mio pettorale, quando mi sento dire che sul certificato medico per l'attività agonistica deve esserci scritto "Atletica leggera". Per chi mi hai preso, per un pirla che passa la sua vita a saltare lungo dentro una vasca di sabbia? A saltare ostacoli mentre corre? Preferirei lavorare in una manifattura tessile cinese. E' sicuramente più divertente. A parte la somma offesa, il problema è stato che non ho potuto correre, ieri sera. Ho vagliato rapidamente le possibili soluzioni rapide. Avrei potuto saltare il bancone e prendermi il pettorale con la forza. Ma l'ho scartata. Avrei potuto falsificare il certificato. Averlo saputo solo un paio d'ora prima, sarebbe stato bellissimo. Odio quando qualcosa non va come avevo previsto, perché io in genere prevedo tutto. Ma hanno pensato bene di scrivere quella clausola in modo ben nascosto, in modo da non precludersi subito una buona fetta di iscritti.
Anyway, non c'è nulla che si può fare. Il sistema è assurdo e non puoi sprecare le tue energie battendo la testa contro un muro. "Davanti alla legge c'è un guardiano", come diceva Kafka. L'unico modo è combattere al di fuori delle regole del sistema, sul terreno che ti scegli tu. Per cui oggi mi preparerò uno, cinque, dieci certificati falsi, per l'atletica leggera e per tutti gli sport che voglio, briscola inclusa. E per i prossimi vent'anni della mia vita. Fanculo a tutte quelle visite idiote.