Leaving Facebook never easy

Non sono più su Facebook. Non che lo usassi molto prima, ma lo controllavo spesso. Leggevo quello che i miei amici scrivevano. Ora non più.

Come con tutti i buoni cambiamenti, sono passato dal “come farò a vivere senza” al “come ho fatto a non liberarmene prima”. È stato un buon cambiamento infatti. Pensavo sarebbe stato difficile liberarmene, invece così non è stato. Dopo qualche giorno in cui un meccanismo automatico mi faceva cercare invano l’icona blu tra quelle delle mie telefono, il pensiero è completamente sparito.

Ho scritto più volte di quanto gli esseri umani siano stupidamente resistenti al cambiamento. E da semplici osservazioni si può notare che non solo essi stessi lo sono, ma spesso combattono attivamente contro il cambiamento altrui. Per dirla con Morpheus in Matrix: “Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo”. Questo succede anche quando esci da Facebook. I tuoi amici vogliono che ritorni. Non c’è una motivazione particolare. Non uno che dica che hai fatto bene.

Uscire da Facebook non è solo avere meno distrazioni o un’ora in più di produttività al giorno. È qualcosa che ti cambia in un piano più profondo. In realtà, questo è l’ultimo anello della catena che per me è partita dall’aver buttato via il televisore, dal non leggere più i giornali né siti di notizie. Ultimamente ho limitato anche la lettura dei feed e di Twitter, che sono gli unici media moderni di cui mi servo. Blog e Twitter. Ovvero informazione e letture selezionate sugli argomenti che decidi tu, scritte dalla persone che ti scegli tu.

Dicevo, è qualcosa che ha effetti nel profondo. Una volta eliminato tutti ciò che è falsamente importante o falsamente urgente, hai tempo per dedicarti a quello che è veramente importante. Che l’economia va bene o male è importante, ma non è importante che tu lo sappia. Lo stesso vale per cosa sta facendo un tuo amico in questo momento. È importante per lui, ma non è importante che tu lo sappia. Ma tutto è presentato cose se fosse importante perché così è la professione del giornalista e così è impostato Facebook.

Il common sense dice che è importante tenersi informati, aggiornati. Tranne che non è vero. Tenersi aggiornati è solo un sonno che distoglie da quello che è importante per te. Per te è importante acquisire delle nuove conoscenze, imparare delle nuove abilità, migliorare la tua persona. Lavorare sui tuoi obiettivi. Per fare questo devi avere la mente sgombra, devi avere tempo per trovare ispirazione e creatività. Il cervello è una scimmia fastidiosa, un puledro impazzito, una pigra e vorace tenia. Ha fame di informazioni, è eccitato dalla novità, è intrattabile nella confusione e nel labirinto dei suoi pensieri. Il modo per vincere è domarlo. E questo l’hanno capito migliaia di anni fa i fondatori del Buddismo, e nel XXI secolo i manager e gli ingegneri di Google o Apple. Chiedete loro quante ore di internet concedono ai loro figli settimanalmente. Una? Due? Chiedete loro cos’hanno regalato loro per Natale. Di sicuro non il Nintendo 3DS. Questo mentre i figli del popolo di ore su internet ne passano cinquanta a settimana, mentre i tecnocrati dell’ultim’ora mettono lavagne elettroniche e tessere magnetiche nelle scuole.

Steve Jobs senza LSD e meditazione non sarebbe stato lo stesso. È un tema che emerge dalla prima parte della biografia di Isaacson. E ci credo. LSD e meditazione sono strumenti per domare la bestia. Una volta spento il flusso inutile dei tuoi pensieri, che contengono preoccupazione sul futuro e ruminazioni sul passato, ti puoi concentrare sull’ora. E allora puoi fare grandi cose.

Un’altro aspetto è la negatività. Banalmente, la maggior parte delle notizie è negativa. La maggior parte delle cose che leggi su Facebook sono lamentele, o altre espressioni della miseria umana. Quando smetti di cibarti quotidianamente di questi cibi, la tua vita diventa più serena.

Ed è vero. È vero per me. Sono molto più sereno, ho la mente più sgombra. Sono più felice. E questi sono dati di fatto. C’è meno spazio nella mia vita per le arrabbiature, le preoccupazioni, la felicità isterica. Potrei persino smettere di rispondere male a mia mamma. Sarebbe davvero the end of the world.

Auguri su Facebook

In questo periodo di sbornia da festività, da alcol consumato nelle festività, da furiosa circolazioni di auguri per il Sol Invictus e per quell’altra celebrazione idiota della nostra prigione temporale, per cui tutti brindano al trasferimento alla cella numero 2012, ho preso anch’io una sbornia. Quando ho letto le seguenti parole sul blog di Nicholas Carr:

I programmatori del web commerciale hanno sempre visto come proprio obiettivo l’annullamento di distanza e ritardo nelle transazioni; e quest’obiettivo ha, non sorprendentemente, plasmato i social network. Ma, se spinta troppo in là, la minimizzazione del costo di transazione nelle relazioni personali finisce con l’avere l’effetto di ridurre queste relazioni a mere transazioni. L’intimità senza distanza non è intimità, e la condivisione  senza ritardo non è condivisione. Le qualità dell’affettuosità diventano, alla fine, forme di commercio. “La linea retta,” continua Adorno, come se stesse spiegando, sessant’anni prima, lo schema sociale di Facebook, “è ora considerata come la distanza più breve tra due persone, come se fossero due punti.”

Gli auguri tramite Facebook o sms sono l’esempio più lampante, specie se negli splendidi “messaggi di massa”. I progressisti della condivisione su internet pensavano che quando la forma sarebbe stata eliminata da tutte le transazioni (quando non ci si sarebbe più alzati il cappello incontrando qualcuno, quando non si avrebbe più mandato email firmandosi) allora l’uomo avrebbe potuto godere di una stato perenne di intimità senza passare dai giochi, allora egli avrebbe avuto delle relazioni sempre soddisfacenti. Per quanto l’esplosione dei social network abbia evidenziato la voglia dell’essere umano di gingillarsi con questa possibilità, la strada del declino è già segnata perché le relazioni che ne sono derivate, alla fine, non soddisfano. Il fallimento di Google+ deve far pensare a questo riguardo: è il segno che il gran premio della montagna è ormai stato scavalcato.

Eric Berne era sicuramente convinto che i giochi andassero combattutti quando essi ostacolano l’intimità, ma dalla consapevolezza del singolo individuo, non per decreto di una qualche istutizione. Il filtro dei giochi è ancora necessario alla vita dell’umanità in blocco. “L’estraniazione si manifesta esattamente nell’eliminazione della distanza tra le persone”, conclude Thomas Adorno.