Capita che per caso ti diano il link al lemma di Wikipedia sulla Panspermia. E’ una teoria assurda, come fa la vita ad essere innata, soprattutto quando l’universo era ridotto a un guscio di noce? Non sarebbe da continuare a leggere, se non fosse per due nomi già sentiti: Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe. Erano quelli che avevano calcolato che l’uomo aveva vinto la sua struggle for life venendo scelto dal Caso in una roulette di 10 alla 40 caselle. 10000000000000000000000000000000000000000 caselle. Allora vale la pena di continuare a leggere, e capita che per caso sia tratteggiata la figura eccentrica di Hoyle, mezzo cosmologo, mezzo biologo, mezzo romanziere anche. Capita che siano citati i nomi di due romanzi: "A come Andromeda", "La nuvola nera". La nuvola nera. E’ un deja vou, ora chiaro e luminosissimo. E’ quel libro che ti aveva preso come non mai, e in seconda media aveva fatto il giro di tutta la classe. Io che pensavo che fosse un libro per bambini, e avevo sempre cercato di ricordarmene l’autore, con un po’ di pessimismo è chiaro, dato che gli autori di libri per bambini sono sempre sconosciuti. Ora è tutto nitido come mai era stato: la copertina rossa, quel polverone di tratti neri al centro, il nome dell’autore in bianco. Lo posso vedere e leggere chiaramente, Fred Hoyle.

Preghiera 28/08/2006
Sant’Agostino di Ippona, ti prego, dimmi come devo spiegare a certa gente che la democrazia si basa sulla flessibilità dello stato di diritto. Siccome non hanno letto non dico Habermas, ma almeno Giovanni Sartori, mi tocca a spiegare tutto da me, senza il peso dell’autorità di qualcuno. Forse però un modo più convincente c’è: tu per favore devia un razzo di Hezbollah, fallo cadere proprio sulla casa di uno di loro, così magari si convinceranno che una volta morti lo stato di diritto conta poco. Fossero per assurdo cattolici, invece no, non hanno neanche la speranza di una ricompensa cento volte più grande. Allora sono veramente scemi, o cosa?

Preghiera 26/08/2006
Certe  volte mi chiedo se non sono davvero fissato con le ipocrisie, perchè stavolta mi scaglio persino contro l’ipocrisia della scrittura da sms o come la volete chiamare. Passino gli ultracinquantenni, gli ultraquarantenni, qualche ultratrentenne; questi mica hanno conversazione via messaggini con i giovini, non conoscono il fenomeno, e allora va bene che facciano quello che fanno, cioè  indignarsi quando sul giornale esce quello che ha scritto la tesi come un sms. Tanto è gratis. Gli ultra sessanta e soprattutto gli ultra settanta sono fuori della polemica, loro che l’italiano non lo hanno mai parlato e tantomeno scritto. Passino anche tutti quelli che riempiono i giornali di tabelle di traduzione e analisi sociologiche. Giammai passino i finti-presunti intellettualoidi ultra e citra ventenni, quelli che si fanno vanto di usare al massimo delle pontenzialità la propria ratio, quelli che si stupiscono di come tutti siano pecoroni mentre basterebbe un ragionamento così semplice. Stolti, che non vedono che a loro sta spuntando il pelo da pecora. Facciano due conti, e vedranno che sono loro ad essere in tanti. E per teoremi che passano da Eraclito a Cipolla a Les Murray, l’intelligenza non si accorda con la massa. Ma evidentemente neanche questo lo capiscono. Per fortuna qualche barbapapà della Crusca ha ancora la testa a posto per dire che farsi capire è un’abilità mica da poco, che condensare il massimo significato in pochi caratteri è una cosa che non tutti sanno fare, che ci provino gli ultracinquantenni a rendere la stessa potenza di significato in altri modi, spediscano una cartolina quando ci saranno riusciti. E poi anche tu, San Nilo di Rossano, calligrafo eccellentissimo, non abbreviavi una lingua di più grande tradizione con puntature e contrazioni inverosimili e spesso incomprensibili? Pare che i difensori della Lingua si siano dimenticati i codici medievali.

Storia (vera) di una vita di letture e di un amore conquistato con la solitudine e la memoria.
Ancora oggi in Bengala c’è una vecchia biblioteca soffocante di libri e scaffali, e piante – insolite per noi europei – che fanno ombra sui lettori giunti a consultarla. Gli schedari sono ancora cartelle impolverate scritte a china svolazzante, non i computer delle nostre biblioteche evolute. Ma che sollievo l’abbondante verde, vita che conforta chi vive invece di leggere, e volentieri confonderebbe questi cunicoli claustrofobici con quelli di un sottomarino.
Perché tralaltro nulla assomiglia all’idea di un sommergibile più d’una biblioteca: in lei ci si immerge. Strana acqua fatta di carta, che pertanto ben s’accorda al frequentatore di biblioteche che, se insiste a leggere, ammette senza problemi la propria inettitudine a vivere praticamente. Come accadde a Eufemio Dass Charan, calligrafo nella città del Bengala dove c’è ancora questa desueta biblioteca. L’Impero di Sua Maestà ancora dominava l’India quando lui era giovane, ma già rovinato dall’abitudine di confondere vita e fantasia, dedicava ai libri quasi tutto il tempo avanzato al suo mestiere di scrivano pubblico.
L’oriente è del resto ancora fatto di manie prese sul serio come sarebbe impossibile da noi. E il nostro Eufemio, orfano di un portoghese e di un’indiana di ottima casta, si faceva vanto di sapere a memoria i libri di Stevenson e Verne. Per poi volentieri usarne le frasi, fingersi l’eroe dei romanzi che non era. Questa sua abitudine gli aveva peraltro donato una fama di stravagante che lo lusingava. Del resto non avrebbe avuto né la forza di pensiero né il coraggio per farsi apprezzare altrimenti. Invece, ripetendo epici brani, era divenuto una notevole attrazione e gradiva stare al gioco, ormai per abitudine imparando nuovi libri a memoria. Fino al punto di essere ricercato nelle case dei più ricchi notabili di quella città tropicale dove abitava. E divenire ospite frequente e bene accolto persino nella casa di Rahman Fazlur, noto in quei luoghi per essere ricchissimo e avere una figlia bellissima di nome Fatima. Questa aveva le labbra morbide e chiare e due occhi profondi, puri come il mare nella più calma notte senza luna. La sua pelle era lucente e chiara come il monte Meru; e il suo muoversi per casa lasciava dietro di sé aure di gentilezza.
Era tutto quello che Eufemio non era: natura mai astratta, vita non letta, e già lì senza il bisogno di essere pensata. Così mentre recitava ad alta voce i suoi diversi libri, serata dopo serata, la guardava e se ne innamorava. In modo così evidente che gli altri ospiti del mercante e il mercante stesso se ne accorsero. Come dal primo istante se n’era accorta Fatima, la quale aveva amato dal primo istante il melanconico Eufemio. E già prima di rivolgergli la parola lo vedeva bello come non era. Confusa ulteriormente dalle frasi dei romanzi che recitava, lui smagrito e strabico invece era per lei bello come il dio Rama. Ma, essendo povero, non poteva piacere a suo padre il mercante, e menchemeno a Babul Abul Wazed, che ambiva a sposarla. Fu così che una sera, dopo che Eufemio aveva recitato un lungo brano dei “Tre Moschettieri” di Dumas, Abul spese un elogio per lui; poi guardando l’incantevole Fatima, disse: “Bene Eufemio, ma così è troppo facile, la prossima volta io inizierò a leggere da un punto a caso e tu continuerai”. Il mite Eufemio recitò la sera dopo a memoria, qualunque brano, puntuale. E allora fu Fazlur il mercante a parlare, dicendo: “Non credo, Dass Charan – preferiva chiamarlo col suo nome indiano – che tu possa imparare a memoria una biblioteca. Anzi scommetto che non ci riuscirai, neppure se posta della scommessa dovessi mettere mia figlia”.
Babul Abul, benché avesse congegnato lui quel tranello, fece una smorfia quando sentì ripromessa la sua futura moglie. Ma Eufemio non se ne acorse. Sentimentale come sono i bengalesi, arrossì, guardò Fatima, e per la prima volta si sentì coraggioso: disse sì. Avrebbe imparato a memoria tutti i libri di quella biblioteca. Sarebbe stata la dote che altrimenti non avrebbe potuto mai pagare. E promise: “Non uscirò dalla biblioteca finché non ci sarò riuscito. Voi mi porterete acqua e cibo ogni giorno, per sette anni, che basteranno. Dopodiché uscirò dalla mia prigione di libri, voi proverete la mia memoria, io sposerò la figlia di Fazlur”.
Per sette anni si chiuse in questa biblioteca e ordinò i libri in lunghe file. Ma non bastarono per imparare a memoria tutti i libri. Chiese altri sette anni, Fazlur glieli concesse. E trascorsi quelli ne chiese altri sette. E visto che Fazlur intanto era morto, li chiedette a Babul che aveva ereditato i suoi beni. Ma ci vollero altri ventotto anni perché Eufemio annunciasse che l’indomani sarebbe uscito dalla biblioteca. Babul, che intanto aveva sposato Fatima, fu preso dal panico. Pensò che Eufemio l’avrebbe ucciso. Mandò due sicari a eliminarlo. Ma al mattino costoro gli riferirono di non aver trovato nessuno tra i libri. E neppure fu possibile dopo d’allora trovare sua moglie Fatima.
Dopo qualche tempo, sulle alte montagne del nord si iniziò tuttavia a raccontare di un vecchio cieco che in una capanna era accudito da una vecchia, di ancora rara bellezza, con gli occhi come il mare in una notte senza luna e la pelle chiara, maestosa come il monte Meru.

Al direttore – Molte nazioni prendono tempo prima di decidere se mandare soldati in Libano e soprattutto quanti. Per ora la Francia manderebbe un vigile urbano bilingue, la Germania una crocerossina volontaria cingalese, la Spagna sei apprendisti toreri dodicenni, l’Olanda un giovane esperto di cannoni e il Lussemburgo due cani da tartufo. L’Inghilterra non risponde al telefono.
Gianni Boncompagni

Preghiera 21/08/2006
Calcata è una roccaforte ideale; e forse lo era, ai tempi in cui un qualche signore l’aveva elevata a sua dimora. Una sola strada per raggiungere il promontorio, per il resto a strapiombo nella roccia. Una rocca medievale fantasma stupendamente decadente, gli unici esercizi aperti sono bar/ristoranti, botteghe d’arte e di artigianato locale. Non c’è dubbio che il posticino sia un po’ ideologico ma faccio finta di nulla, mi piace troppo. Per la strada incontro qualche individuo sotto i vent’anni e addirittura sono tutte ragazze; strabuzzo gli occhi pensando alla tristezza delle Dolomiti. Vuol dire che un po’ di vita c’è ancora, e questo è grasso che cola. Santa Rosa che hai coperto queste montagne col tuo sangue, se mai verrò ad abitare qui ristrutturerò la tua chiesa.

Preghiera 18/08/2006
Quanto sei liberale, casa editrice Laterza che hai pubblicato “Cristiani in armi” di Mariateresa Fumagalli Beoni Brocchieri (non sembra ma è una persona sola). Nel capitolo dedicato alle crociate, la storica scrive che furono eccitate dal racconto di “vere o presunte persecuzioni dei musulmani ai danni dei cristiani”. “Vere o presunte” lo può scrivere un agitatore qualsiasi, lo posso scrivere io, ma la storia dovrebbe essere una cosa seria, non una rubrichetta quotidiana d’un blog, dovrebbe dirci se i fatti sono avvenuti o no. Casa editrice Laterza, saresti altrettanto liberale con me? Pubblicheresti un libro in cui parlo di “vera o presunta Mafia”, “vere o presunte camere a gas”, “vera o presunta storica Mariateresa Fumagalli Beoni Brocchieri”?