221b Baker St.

Adoro le persone intelligenti. Bramano di essere catturate. Per l’approvazione, per gli applausi finché durano i riflettori. È la fragilità dei geni — John —, vogliono un pubblico.

Non ho una televisione, ma qualcosa di televisivo lo guardo lo stesso. Mi piacciono le cose investigative, quelle fatte bene dove il tuo cervello gira gira finché alla fine la tua intera visione del mondo crolla sotto i colpi della soluzione dell’enigma. Non Lie to Me quindi. Mi sono imbattuto in Sherlock, versione attualizzata dei romanzi di Conan Doyle. Avevo solo letto, da piccolo, qualche short story o romanzo riassunto adattato per bambini di Sherlock Holmes, e nulla più; ma ricordo che mi era piaciuto molto. Ad ogni modo, Sherlock è bello. C’è la solita dicotomia tra il genio e l’assistente un po’ tonto, che caratterizza tutti gli investigativi del mondo (Poirot ed Hastings fino a Conan e Kogoro). Il lettore o analogamente lo spettatore, per il suo complesso di inferiorità che gli rende impossibile identificarsi col genio, tifa per il rendersi utile dell’illetterato assistente. Cosa che in Sherlock alla fine accade, con grande soddisfazione di chi guarda.

Ho guardato solo i primi due episodi, ma apprezzo il fatto che ci sia una trama più grande oltre le storie dei singoli episodi, che è in genere il fatto che tiene lo spettatore incollato allo schermo. E poi c’è la personalità di Sherlock, nella quale è necessario risucchiare chi guarda. Nel primo episodio è introdotta in modo egregio, anche tramite qualche saggio riferimento alla sua vita privata e orientazione sessuale (il gossip non guasta mai). Nel secondo è a tratti una macchinetta sputa-deduzioni. Ed è noioso. Ecco questo mi ricorda quello che diceva Derren Brown, cioè che il mentalista non è solamente uno che sa tutto ma uno che trasporta lo spettatore in un reame magico dove tutte quelle deduzioni ed elucubrazioni incredibili hanno senso. In questo contesto, un detective che ti spiattella una serie di verità senza fornirti uno scorcio dei suoi processi mentali, una plausibile via di deduzione, è decisamente tediante.

Personalità interessante, ad ogni modo. Non vedo l’ora di guardare gli altri episodi.

To Sherlock Holmes she is always the woman. I have seldom heard him mention her under any other name. In his eyes she eclipses and predominates the whole of her sex. It was not that he felt any emotion akin to love for Irene Adler. All emotions, and that one particularly, were abhorrent to his cold, precise but admirably balanced mind. He was, I take it, the most perfect reasoning and observing machine that the world has seen…. And yet there was but one woman to him, and that woman was the late Irene Adler, of dubious and questionable memory.
     The Adventures of Sherlock Holmes (1892)
Dr. Watson in “A Scandal in Bohemia” (Doubleday p. 161)

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