Sono stato a vedere un settantacinquenne, un uomo del ’34, bevitore professionista, ebreo errante dalla nascita alla morte, suonare per due ore e mezza in una piazza san Marco sempre minacciata, ma alla fine graziata, dalle nubi che la sovrastavano. Mi dà molte speranze per il futuro e la vecchiaia, L. Cohen. Ha passato sei anni in un monastero Zen, dove prevalentemente beveva (cognac, whiskey, vino rosso) col maestro Seasaki Roshi, 94 anni. Sul palco era minuto, sempreverde e sempre in evoluzione nella voce, circondato da una squadra fidata costruita negli anni, e destinata a rimanere sempre uguale. Un silenzio irreale era calato quando dopo “Dominus vobiscum, God bless you”, aveva cominciato a recitare le ultime parole di benedizione per la sua folla in ebraico, dal libro dei Numeri.

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