Federico Buffa

Fede Buffa, The Lawyer, nasce a Milano nel 1959. Due tiri a basket nei campionati minori e conosce – tenete a mente questo nome – Flavio Tranquillo, suo allenatore. In qualche modo riesce a diventare procuratore di giocatori professionisti, nel frattempo studia e si laurea in Giurisprudenza. Ma poi, arrivano le telecronache. Prima la radio poi qualche tv locale, ma il suo talento è incredibile e nel ’92 lo chiama a commentare l’NBA… Flavio Tranquillo. Insieme formano probabilmente la coppia più formidabile di commentatori di tutti i tempi, di qualsiasi sport, anche se sono poco rinomati. È il 2012, e a commentare per Sky ci sono ancora loro.

Milanese e milanista da sempre, grande amico di Ambrosini, è una personalità poliedrica almeno tanto quanto lo era Ulisse secondo il vecchio poeta cieco. E un formidabile menestrello…

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Qui il podcast.

Tassare i ricchi

In questo post risponderò a una domanda che molti si fanno vedendo le discoteche piene, le code ai ristoranti e i centri commerciali affollati sotto le feste: “Dov’è la crisi?”. Eppure la crisi c’è, perché il GDP (PIL) è stagnante, la disoccupazione è ad alti livelli, con quella giovanile che si trova oltre il 30%. Eppure sembra nascondersi ai nostri occhi.

La crisi economica non comincia ieri ma viene da lontano, diciamo dalla metà degli anni ’80. È stato allora che la bilancia commerciale degli Stati Uniti è andata in negativo, seguita, qualche anno dopo anche se in modo meno marcato, da quella europea. (In questo post la maggior parte dei dati e dei ragionamenti saranno relativi agli Stati Uniti, ma con poca fatica possono essere estesi all’Europa).

Bilancia commerciale in passivo vuol dire che escono più soldi di quelli che entrano (tra parentesi, dove vanno i soldi? In Cina). Vuol dire che col passare del tempo la nazione, come una qualsiasi azienda o famiglia le cui spese superino le entrate, si impoverisce. A meno che non si faccia debito.

Se si contrae debito, allora si può mantenere lo stesso tenore di vita per un numero discreto di anni. Finché un giorno, dai la colpa alla speculazione, dai la colpa a chi vuoi, quel debito diventa ingestibile. E quel giorno, come sappiamo tutti, è arrivato.

Questo è il primo motivo per cui la crisi c’è ma non si vede: perché è stato fatto debito. Non è una casualità che il debito degli USA inverta la tendenza proprio poco dopo 1980. Si potrebbe fare una distinzione tra debito pubblico e debito privato (“è lo stato che ha contratto il debito, a me non me ne è venuto in tasca niente”) ma questa non regge: lo stato spalma su di te il suo debito dandoti una pensione più alta, tasse più basse, maggiori stipendi e più posti di lavoro ai dipendenti pubblici, commesse e ordini alle imprese, prestazioni sanitarie più economiche.

La situazione non sarebbe così brutta, se non ci si mettesse un altro fattore.

Come mostra il grafico, i ricchi sono sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. Letteralmente. O meglio, non solo i poveri, ma tutta la classe media. Il 20% in alto aveva il 50% delle risorse nel 1980. Nel 2000 aveva il 60%. Il signore di La Palice dice che nel 2080 avranno il 100% (cosa che ovviamente non potrà succedere, perché ci sono le tasse). Il grafico non risale a prima del 1980, quindi non possiamo sapere cosa sia successo prima, ma è evidente che il trend esiste almeno da quando le cose per il mondo occidentale hanno cominciato a mettersi male, e quindi la concentrazione di ricchezza nelle mani dei ricchi non è una cosa buona.

La crisi quindi, che non è cominciata ieri, non finirà domani. Magari non sarà catastrofica (anche se i rischi ci sono, ma non per le ragioni elencate in questo post), ma il mondo occidentale è destinato a continuare a impoverirsi nel lungo termine. Queste fattori non si possono cambiare nel giro di pochi anni, soprattutto se nessun governo sta facendo qualcosa in questo senso.

Nick Hanauer è un miliardario americano che parlando all’assemblea dei marxisti rococò di TED ha proposto esattamente quella che vedo anch’io come unica soluzione per invertire la tendenza: tassare i ricchi. Gli applausi infatti non sono stati esattamente scroscianti, come lo sono sempre quando un professore indiano mostra come qualche bambino per le strade di Calcutta impari usando un computer con internet che lui ha gentilmente posizionato lì per il suo esperimento, e come questa azione potrebbe salvare il mondo (aspettiamo che il bambino scopra i siti porno).

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Io comincerei a pensare a un exit strategy dall’Occidente.

Sir Jony Ive

Quando ho visto per la prima volta questo video da YouTube, il primo commento in alto recitava: “There’s still a truly spirited man at Apple. His name is Jony Ive”. E questo si può dire di Sir Jony from Essex, truly spirited, in una maniera che qualsiasi versione italiana non renderebbe appieno. La sua lezione magistralis parla di Steve ma parla anche della sua filosofia estetica. L’amore per la modellazione delle parti non visibili risale dal padre adottivo di Steve, falegname e meccanico, ai marmi del Partenone di Fidia. La vittoria per la semplicità, la vittoria per la purezza, non è stata solo quella di Steve, ma è, ogni giorno della sua vita, quella di Sir Jony, anche in queste parole, in una maniera che il mondo contemporaneo non conosce, ma che, come dimostra il successo dei prodotti, intuisce. I neoclassici di Cupertino.

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Steve used to say to me (and he used to say this a lot), “Hey Jony, is a dopey idea.” And sometimes they were — really dopey. Sometimes they were truly dreadful. But sometimes they took the air from the room, and they left us both completely silent. Bold, crazy, magnificent ideas. Or quiet, simple ones, which in their subtlety, their detail, they were utterly profound.

And just as Steve loved ideas, and loved making stuff, he treated the process of creativity with a rare and a wonderful reverence. I think he, better than anyone, understood that while ideas ultimately can be so powerful, they begin as fragile, barely formed thoughts, so easily missed, so easily compromised, so easily just squished.

I loved the way that he listened so intently. I loved his perception, his remarkable sensitivity, and his surgically precise opinion. I really believe there was a beauty in how singular, how keen his insight was; even though sometimes it could sting.

As I’m sure many of you know, Steve didn’t confine his sense of excellence to making products. When we travelled together, we would check in, and I’d go up to my room. And I’d leave my bags very neatly by the door. And I wouldn’t unpack. And I would go and sit on the bed. I would go and sit on the bed next to the phone. And I would wait for the inevitable phone call: “Hey Jony, this hotel sucks. Let’s go.”

He used to joke that the lunatics had taken over the asylum, as we shared a giddy excitement spending months and months working on a part of a product that nobody would ever see. Well, not with their eyes. We did it because we really believed it was right because we cared. He believed that there was a gravity, almost a sense of civic responsibility, to care way beyond any sort of functional imperative.

While the work hopefully appeared inevitable, appeared simple and easy, it really cost. It cost us all, didn’t it? But you know what? It cost him most. He cared the most. He worried the most deeplyHe constantly questioned, “Is this good enough? Is this right?”

And despite all his successes, all his achievements, he never presumed, he never assumed that we would get there in the end. When the ideas didn’t come, and when the prototypes failed, it was with with great intent, with faith, that he decided to believe we would eventually make something great.

But the joy of getting there! I loved his enthusiasm, his simple delight (often, I think, mixed with some relief) that, yeah, we got there. We got there in the end and it was good. You can see his smile, can’t you? The celebration of making something great for everybody; enjoying the defeat of cynicism, the rejection of reason, the rejection of being told a hundred times, “You can’t do that”. So his, I think, was a victory for beauty, for purity, and, as he would say, for giving a damn.

He was my closest and my most loyal friend. We worked together for nearly fifteen years — and he still laughed at the way I say “aluminium”.

For the past two weeks, we’ve all been struggling to find ways to say goodbye. This morning I simply want to end by saying, “Thank you, Steve.” Thank you for your remarkable vision, which has united and inspired this extraordinary group of people. For the whole that we have learned from you, and for all that we will continue to learn from each other: Thank you, Steve.

La dieta anti-infiammatoria

Molte persone pensano che mangiare sano voglia dire mangiare secondo ricette e prodotti tradizionali, preparati con cura dalla mani sapienti della nonna o di un buon cuoco. Se si va al di là di un’analisi superficiale, questa credenza popolare risulta tuttavia infondata. Contemporaneamente vengono demonizzati i fast-food o il kebabbaro sotto casa, probabilmente a causa della sclerosi dell’abitudine, di un certo nazionalismo dell’ora di pranzo o semplicemente della pura ignoranza.

Prendiamo la pizza, per esempio. È un alimento molto calorico, con una pessima ripartizione dei macronutrienti (una quantità sproporzionata di carboidrati), a volte non di grande qualità, se ad esempio il pizzaiolo usa pasta addizionata con glutine. Ovviamente si può fare qualcosa: prendere una pizza con qualche verdura e delle proteine, chiederla con farina di kamut, che tassa decisamente meno il sistema digerente. Ma un pasto che sia esclusivamente composto da una margherita con patate fritte (cosa di cui il sottoscritto — ammetto — andava matto), lasciatemelo dire: fa schifo.

Lo stesso, più o meno, si può dire di un buon piatto di spaghetti al pomodoro. Tanti carboidrati, poco del resto, e un abbiocco garantito.

Il problema, il grosso problema, è che la dieta non è come un’aspirina né come un bicchiere di whisky. Un’aspirina la prendi e ti senti subito meglio; il whisky lo bevi e sei subito andato. Gli effetti della dieta entrano in gioco ad anni di distanza. A me una pizza addizionata con glutine dà mal di pancia subito, ma non credo che tutti abbiano (la sfortuna di avere) un rilevatore integrato del genere. Magari hai cinquant’anni e ti viene diagnosticato un cancro e pensi, che sfiga, proprio a me. Lo accetti come un bravo agnello sacrificale, pensando che è così che va il mondo, e nel frattempo porti i tuoi figli a mangiare pizza con le patatine fritte, per tenerli su di morale. Non pensi che quarant’anni di dieta hanno infiammato il corpo portandolo a un risultato del genere.

Oppure ti viene un attacco di cuore a sessantacinque anni e stavolta pensi, che diamine, la vecchiaia. Balle, grandissime balle.

Non ho intenzione di diventare un vecchio cardiopatico o arteriosclerotico (prima ancora di non avere intenzione di diventare vecchio), quindi non ho intenzione di fare una dieta che mi infiammi, per quanto questo possa sembrare un tantino eccentrico e strappare un sorriso a qualcuno che — dice — (soprav)vive benissimo con la sua sana dieta tramandata dagli antenati (nota, la dieta degli antenati ha più o meno cinquant’anni ed è stata forgiata dall’eccellente programmazione televisiva degli anni ’60-’70). Aspetterò tutti questi alla soglia dei cinquant’anni.

Detto tutto questo, mi sono imbattuto in un eccellente post sul blog di un certo Dr. Art Ayers (nato a San Diego, CA e Ph.D. in biologia molecolare, cellulare, e dello sviluppo, qualsiasi cosa voglia dire) dove riassume le linee guida di una dieta anti-infiammatoria. Mi è piaciuto perché è molto semplice, che non vuol dire che sia facile, ma che è evidentemente frutto di analisi complessa che è stata coagulata in modo cristallino.

Componenti di una dieta anti-infiammatoria (focalizzati su carne, pesce, uova e verdure a foglia):

  • Bassa in amido e altri zuccheri semplici: l’insulina e la glicemia alta sono infiammatori; quindi usa polisaccaridi complessi (niente amido); amido solo in piccole quantità (mezza banana o una metà di un panino da hamburger) e preferibilmente in forme non trattate e meno assorbibili, per esempio integrale o coperto con grasso — pane col burro; meno di 30 g in ogni pasto, ancora meno è ancora più salutare, i cereali sono spesso un problema  — intolleranza al glutine
  • Niente sciroppo di mais alto in fruttosio (questo è usato solo in America, niente paura): alto fruttosio libero (in contrasto col saccarosio) è infiammatorio e contribuisce al crosslinking delle fibre di collagene, che significa pelle che invecchia prematuramente; il saccarosio è molto meglio che dolcificanti alternativi
  • Alto rapporto omega-3 su omega-6: la maggior parte degli oli vegetali (quello di oliva è l’eccezione) sono molto alti in omega-6, sono infiammatori e devono essere evitati; i grassi omega-3 da olio di pesce non possono avere il loro completo impatto anti infiammatorio in presenza di oli vegetali; integratori di omega-3 sono necessari per superare una presente infiammazione — da prendere assieme a grassi saturi
  • Niente grassi saturi trans: sono tutti infiammatori
  • Probiotici e prebiotici: i batteri nello stomaco sono di vitale importanza nel ridurre l’infiammazione; la maggior parte dei batteri che inizialmente colonizza i bambini allattati dalla mamma e che sono presenti in prodotti fermentati sembrano essere buoni; il latte in polvere converte velocemente i batteri dello stomaco del bambini in specie infiammatorio e dovrebbe essere completamente evitato per quanto più a lungo possibile, per permettere lo sviluppo del suo sistema immunitario (almeno sei mesi di esclusivo allattamento)
  • I grassi saturi sono salutari e riducono la perossidazione degli omega-3 nei siti di locale infiammazione (per esempio il fegato grasso). I grassi saturi dovrebbero essere la maggior fonte di calorie nella dieta.
  • Antiossidanti vegetali: frutta e verdura, insieme a caffè e cioccolato forniscono antiossidanti anti-infiammatori molto utili
  • Integratori quotidiani consigliati: 1000 mg vitamina C; 2000-5000 IU vitamina D (per produrre livelli sanguigni di 60 ng/ml); 750 mg glucosamina
  • Componenti dello stile di vita anti-infiammatorio: esercizio fisico (sia aerobico sia forza); minimizzare il grasso corporeo; igiene dentale; stimolazione del nervo vagale
Il blog è tralaltro tutto molto interessante e si chiama coolinginflammation.

Teach us to sit still

Ho cominciato a meditare. Regolarmente è una parola grossa, ma ho cominciato. Ho letto La forza della meditazione di Daniel Goleman (il tipo dell’intelligenza emotiva), e mi è particolarmente piaciuto. Ovviamente non è la lettura del libro che mi ha spinto a meditare, quanto viceversa: la mia curiosità di cominciare mi ha fatto comprare il libro. È stata una lettura molto bella, e ho trovato conferme su dei punti che erano da sempre una mia vecchia idea, cioè che:

  1. La crisi delle attuali religioni istituite è derivata proprio dal fatto che pochi fanno esperienza personale del sacro, cioè che pochi hanno avuto o conosciuto qualcuno che ha avuto esperienze mistiche nella propria vita; che le esperienze spirituali personali non sono incoraggiate, mentre tutta l’importanza è riversata in squallide cerimonie pubbliche.
  2. La preghiera nelle religioni cristiane è solo l’ultima sopravvissuta, la più semplice di tutta una serie di pratiche contemplative più intense. Ciò è osservato anche da Thomas Merton (1960). In pratica i nostri egregi pastori, madonna di Medjugorje compresa, propagandando così tanto la preghiera non fanno che tarpare le ali a molti individui con grandi potenzialità spirituali. Che non vuol dire che la preghiera sia male, anzi, ma è solo una parte del tutto.
  3. Le tradizioni orientali sono una cultura esoterica che insegna come fare ciò che le religioni popolari dicono che deve essere fatto: la trasformazione della coscienza. In pratica la perdita (o meglio, il sotterramento) della tradizione esoterica occidentale ha fatto in modo che le religioni, pur predicando la conversione dell’uomo, il risveglio dell’Adamo primordiale, non dicano come si fa perché non sanno come si fa (ok, a parte dire un rosario al giorno). Ciò è terribilmente disorientante e produce la quantità esorbitante che conosciamo di cristiani delle messe di Natale e Pasqua. Le religioni orientali invece forniscono anche la Via.

Inoltre, a parte la speranza e la volontà di raggiungere stati di coscienza più illuminati, sono da contare anche i benefici fisiologici della pratica meditativa. Per me, che negli Stati Uniti mi si diagnosticherebbe subito l’ADHD, la prospettiva di allenare la mia mente all’attenzione e di ottenere una coscienza più lucida e concentrata è allettante. Notare bene: questo aspetto non è scollegato da quello spirituale, dato che, come ogni buon alchimista sa, bisogna lavorare sulla materia, sulla biologia, per poter avere uno sviluppo spirituale. Come ho sentito dire in altre parole, se il peccato originale viene eliminato, la materia torna ad essere sacra.

I benefici della meditazione sono innumerevoli, incredibili, non solo limitati al campo di “mente più lucida”. Ricordo Richard Bandler riportare l’affermazione che 20 minuti al giorno di meditazione risolvono qualsiasi problema. Se non è così, quasi. Ciò farebbe sembrare la meditazione troppo bella per essere vera; in realtà questi benefici non si ottengono dal giorno alla notte, ma dopo mesi, anni, di dedizione alla pratica. Voglio elencare i risultati di alcuni studi come riportati nel libro di Goleman:

  • Goleman e Schwarz (1976) hanno trovato che meditatori esperti confrontati con un gruppo di non meditatori, sottoposti alla visione di un filmato di sanguinosi incidenti di falegnameria, presentano una reazione allo stimolo superiore; ma non appena il filmato è passato, si riprendono dall’eccitazione in modo più marcato dei non meditatori. In altre parole, la mente di un meditatore è più pronta a reagire allo stress, e più rapida a lasciarlo. È meno soggetta all’ansia, definendo l’ansia l’incapacità di abbandonare la reazione di stress corporea quando un problema o un pericolo è finito.
  • Schwarz, Davidson, Margolin, hanno trovato che i cervelli dei meditatori di Gurdjieff presentano un’elevata specificità della corteccia, cioè la capacità di attivare solo le aree del cervello necessarie al compito del momento, lasciando invece inattive le aree irrilevanti. Questo implica un aumento delle capacità di rilevamento sensorio e di controllo muscolare. Questa specificità della corteccia, avere la mente perfettamente concentrata e il corpo rilassato, è quella che permette al maestro di karate di rompere il mattone, e non la sua mano.
  • Kiecolt-Glaser (1984-85) ha scoperto che gli anziani residenti di una casa di riposo che usavano un esercizio di rilassamento mostravano un aumento significativo delle loro difese immunitarie contro tumori e virus.
  • Patel et al. (1985) hanno trovato che la meditazione più sostituire il trattamento farmacologico per l’ipertensione, fino a quattro anni dopo che la pratica è stata interrotta.
  • Surwuit (1983) scoprì che il training di rilassamento migliorava la regolazione del glucosio in pazienti con diabete in età adulta.
  • Kobat-Zinn (1985) trovò che la meditazione abbassava la dipendenza dagli antidolorifici e diminuiva il livello di dolore nei sofferenti cronici.

E l’elenco è molto più lungo e articolato, in realtà.

Ma parliamo dei miei risultati. Quello che mi ha sorpreso, non potendo ancora osservare i risultati a lungo termine, è che bastano dieci minuti di meditazione perché la mia mente sia sensibilmente più lucida, sgombra, libera da pensieri e preoccupazioni, per la successiva ora–ora e mezza. È un ottimo modo per calmarmi quando sono agitato o preoccupato.

Come medito? La posizione è importante, ma anche no. Pensavo fosse difficile meditare da seduti, ma in realtà non è così, a patto che si tenga una posizione corretta di seduta (che sembra più scomoda, ma meditando risulta essere più comoda di una posizione stravaccata o incurvata). Si può anche stare distesi, in questo caso la meditazione potrebbe trasformarsi in un pisolino, ma sinceramente non mi importa. La mia posizione preferita è però questa qui, che ha il vantaggio di avere degli ottimi effetti sulla mia povera schiena (fatta ai piedi del letto o del divano e non di una scatola):

Ho trovato che per iniziare è più facile ed efficace usare una meditazione guidata, io uso Mindfullness Meditation per iPhone. Equanimity è un’altro bellissimo timer per la meditazione che, pur non fornendo nulla di guidato, crea una serie di statistiche e grafici sulla tua pratica.

Oggi come oggi sono solo all’inizio di questo viaggio, e non vedo l’ora di scoprire come andrà avanti. Un ultimo punto sulla diffidenza verso la meditazione che è propria non solo dell’uomo della strada, ma anche del teologo cattolico, dell’ateo scettico, del buon cristiano. Ciò che accomuna questa persone è di appartenere, volenti o nolenti, alla nostro cultura. Lascio che si Goleman ad affrontare il problema:

“La cultura modella la consapevolezza perché si conformi a certe norme, limita le tipologie di esperienza o le categorie per l’esperienza disponibili all’individuo, e determina l’appropriatezza o accettabilità di un determinato stato di coscienza o il suo rapporto con la situazione sociale. […]

Nella misura in cui la realtà è una convenzione convalidata dal consenso, ma arbitraria, uno stato alterato di coscienza può rappresentare un modo di essere antisociale e irregolare.”

Ciao Zano

Lo scorso 28 marzo un mio amico e compagno di università si è tolto la vita. È stato molto strano, in genere io mi sbaglio raramente ma questa volta mi sono sbagliato. Pensavo che Leonardo, meglio conosciuto come Zano, volesse vendicarsi di qualcuno che gli stava vicino, e che evidentemente non gli aveva voluto bene. Lui era un grande burlone, abile giocatore di poker e quindi bluffatore, una faccia di bronzo, vendicativo ma non per impulsività. Vendicativo alla siciliana. Pensavo che quindi sarebbe stato disposto a sacrificare persino la sua vita per portare a termine un piano che aveva deciso. Non disperato quindi, ma molto lucido.

Mi sono sbagliato su molto ma non su tutto. I giornali riportavano la morte in seguito a una delusione d’amore, ma per me non era tutto. Zano aveva pianificato la cosa per bene, cercando tra gli archivi dei giornali le notizie sui suicidi, in modo da trovare il posto adatto per andare incontro a un treno. Ha scelto Stanghella, alla periferia di Padova, dove già un uomo si era suicidato un anno fa, ha scelto l’imbrunire, in modo da non essere notato dal treno, e si è disteso sui binari. In un impulso freudiano ho pensato che sapendo che il suo corpo non sarebbe stato trovato intero, doveva avere avuto del rancore nei confronti dei suoi genitori. Nel frattempo, aveva preso in giro tutti. Non solo il “sembrava normale, un po’ giù ma niente di che”, ma stava deliberatamente portando avanti progetti per il futuro come se si divertisse a celare al mondo ignaro quel segreto che si portava dentro. Eppure aveva già deciso tutto. Bluff.

Mi sono sbagliato su molto. Il martedì successivo sono andato al suo funerale. Hanno parlato i suoi amici, con un messaggio non molto emozionante né granché elegiaco, letto con un terribile accento. È spaventoso come io potessi pensare, in una situazione del genere, che io avrei scritto un’elegia migliore e che quindi potevano darla a me da scrivere. E avrei potuto anche insegnar loro a leggerla in modo decente. Ma vabbé. Ha parlato anche la sua (ex-)ragazza. Per quanto, quando l’amore è finito, le ragazze possano essere fredde come se non ti avessero mai conosciuto, non mi è sembrato questo il caso. Ha detto delle cose incredibilmente intelligenti, e soprattutto ha gettato luce sui motivi del gesto. Facendomi capire che non avevo capito niente.

A Zano non piaceva questo mondo, non gli piaceva questo mondo e avrebbe voluto cambiarlo. Era sostanzialmente un’egoista. Avrebbe voluto una vita di divertimento tutta per sé, anche se questo avrebbe voluto dire calpestare qualcuno. Non doveva essere molto incline a scendere a compromessi. “Leonardo, la vita non è solo piacere, non è solo sesso e soldi…” diceva la sua ragazza mentre non troppe lacrime le rigavano il viso, parlandogli come se fosse ancora lì (e come potrebbe essere altrimenti?”. Non gli piaceva questo mondo e allora ha preferito abdicare una vita che non gli piaceva. Forse non si può dire che fosse forte, ma cosa vuol dire essere forti? Di lui ho ammirato il suo lucido non attaccamento alla vita, il consegnarsi a una morte un po’ simile a quella di Socrate (esagero). Perché la vita è bella certo, ma chi vorrà salvare la propria vita la perderà, e chi sarà disposto a perderla, la salverà.

Era un’egoista e infatti è stato così fino alla fine, dato che ha lasciato due fratelli più piccoli e un sacco di persone che gli volevano bene. Non gliene importava. Forse non si può dire che fosse un grande spirito. Ma chi siamo per poter giudicare?

Mercoledì 28 mattina, verso mezzogiorno, avevo appena preso una bottiglietta di tè verde dalle macchinette in dipartimento. Dalle vetrate scorgo Zano che, fuori in giardino, sta parlando con una ragazza. Aveva il suo solito sorriso furbetto stampato sulla faccia. Vorrei andare a salutarlo, ma poi penso che — insomma — lasciamolo parlare con quella tipa lì. Lo saluterò la prossima settimana.

Così non è stato. E non si può dire che il suicidio di un amico sia tutto male. Non mi lascerò più passare un’occasione del genere.

221b Baker St.

Adoro le persone intelligenti. Bramano di essere catturate. Per l’approvazione, per gli applausi finché durano i riflettori. È la fragilità dei geni — John —, vogliono un pubblico.

Non ho una televisione, ma qualcosa di televisivo lo guardo lo stesso. Mi piacciono le cose investigative, quelle fatte bene dove il tuo cervello gira gira finché alla fine la tua intera visione del mondo crolla sotto i colpi della soluzione dell’enigma. Non Lie to Me quindi. Mi sono imbattuto in Sherlock, versione attualizzata dei romanzi di Conan Doyle. Avevo solo letto, da piccolo, qualche short story o romanzo riassunto adattato per bambini di Sherlock Holmes, e nulla più; ma ricordo che mi era piaciuto molto. Ad ogni modo, Sherlock è bello. C’è la solita dicotomia tra il genio e l’assistente un po’ tonto, che caratterizza tutti gli investigativi del mondo (Poirot ed Hastings fino a Conan e Kogoro). Il lettore o analogamente lo spettatore, per il suo complesso di inferiorità che gli rende impossibile identificarsi col genio, tifa per il rendersi utile dell’illetterato assistente. Cosa che in Sherlock alla fine accade, con grande soddisfazione di chi guarda.

Ho guardato solo i primi due episodi, ma apprezzo il fatto che ci sia una trama più grande oltre le storie dei singoli episodi, che è in genere il fatto che tiene lo spettatore incollato allo schermo. E poi c’è la personalità di Sherlock, nella quale è necessario risucchiare chi guarda. Nel primo episodio è introdotta in modo egregio, anche tramite qualche saggio riferimento alla sua vita privata e orientazione sessuale (il gossip non guasta mai). Nel secondo è a tratti una macchinetta sputa-deduzioni. Ed è noioso. Ecco questo mi ricorda quello che diceva Derren Brown, cioè che il mentalista non è solamente uno che sa tutto ma uno che trasporta lo spettatore in un reame magico dove tutte quelle deduzioni ed elucubrazioni incredibili hanno senso. In questo contesto, un detective che ti spiattella una serie di verità senza fornirti uno scorcio dei suoi processi mentali, una plausibile via di deduzione, è decisamente tediante.

Personalità interessante, ad ogni modo. Non vedo l’ora di guardare gli altri episodi.

To Sherlock Holmes she is always the woman. I have seldom heard him mention her under any other name. In his eyes she eclipses and predominates the whole of her sex. It was not that he felt any emotion akin to love for Irene Adler. All emotions, and that one particularly, were abhorrent to his cold, precise but admirably balanced mind. He was, I take it, the most perfect reasoning and observing machine that the world has seen…. And yet there was but one woman to him, and that woman was the late Irene Adler, of dubious and questionable memory.
     The Adventures of Sherlock Holmes (1892)
Dr. Watson in “A Scandal in Bohemia” (Doubleday p. 161)

Leaving Facebook never easy

Non sono più su Facebook. Non che lo usassi molto prima, ma lo controllavo spesso. Leggevo quello che i miei amici scrivevano. Ora non più.

Come con tutti i buoni cambiamenti, sono passato dal “come farò a vivere senza” al “come ho fatto a non liberarmene prima”. È stato un buon cambiamento infatti. Pensavo sarebbe stato difficile liberarmene, invece così non è stato. Dopo qualche giorno in cui un meccanismo automatico mi faceva cercare invano l’icona blu tra quelle delle mie telefono, il pensiero è completamente sparito.

Ho scritto più volte di quanto gli esseri umani siano stupidamente resistenti al cambiamento. E da semplici osservazioni si può notare che non solo essi stessi lo sono, ma spesso combattono attivamente contro il cambiamento altrui. Per dirla con Morpheus in Matrix: “Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo”. Questo succede anche quando esci da Facebook. I tuoi amici vogliono che ritorni. Non c’è una motivazione particolare. Non uno che dica che hai fatto bene.

Uscire da Facebook non è solo avere meno distrazioni o un’ora in più di produttività al giorno. È qualcosa che ti cambia in un piano più profondo. In realtà, questo è l’ultimo anello della catena che per me è partita dall’aver buttato via il televisore, dal non leggere più i giornali né siti di notizie. Ultimamente ho limitato anche la lettura dei feed e di Twitter, che sono gli unici media moderni di cui mi servo. Blog e Twitter. Ovvero informazione e letture selezionate sugli argomenti che decidi tu, scritte dalla persone che ti scegli tu.

Dicevo, è qualcosa che ha effetti nel profondo. Una volta eliminato tutti ciò che è falsamente importante o falsamente urgente, hai tempo per dedicarti a quello che è veramente importante. Che l’economia va bene o male è importante, ma non è importante che tu lo sappia. Lo stesso vale per cosa sta facendo un tuo amico in questo momento. È importante per lui, ma non è importante che tu lo sappia. Ma tutto è presentato cose se fosse importante perché così è la professione del giornalista e così è impostato Facebook.

Il common sense dice che è importante tenersi informati, aggiornati. Tranne che non è vero. Tenersi aggiornati è solo un sonno che distoglie da quello che è importante per te. Per te è importante acquisire delle nuove conoscenze, imparare delle nuove abilità, migliorare la tua persona. Lavorare sui tuoi obiettivi. Per fare questo devi avere la mente sgombra, devi avere tempo per trovare ispirazione e creatività. Il cervello è una scimmia fastidiosa, un puledro impazzito, una pigra e vorace tenia. Ha fame di informazioni, è eccitato dalla novità, è intrattabile nella confusione e nel labirinto dei suoi pensieri. Il modo per vincere è domarlo. E questo l’hanno capito migliaia di anni fa i fondatori del Buddismo, e nel XXI secolo i manager e gli ingegneri di Google o Apple. Chiedete loro quante ore di internet concedono ai loro figli settimanalmente. Una? Due? Chiedete loro cos’hanno regalato loro per Natale. Di sicuro non il Nintendo 3DS. Questo mentre i figli del popolo di ore su internet ne passano cinquanta a settimana, mentre i tecnocrati dell’ultim’ora mettono lavagne elettroniche e tessere magnetiche nelle scuole.

Steve Jobs senza LSD e meditazione non sarebbe stato lo stesso. È un tema che emerge dalla prima parte della biografia di Isaacson. E ci credo. LSD e meditazione sono strumenti per domare la bestia. Una volta spento il flusso inutile dei tuoi pensieri, che contengono preoccupazione sul futuro e ruminazioni sul passato, ti puoi concentrare sull’ora. E allora puoi fare grandi cose.

Un’altro aspetto è la negatività. Banalmente, la maggior parte delle notizie è negativa. La maggior parte delle cose che leggi su Facebook sono lamentele, o altre espressioni della miseria umana. Quando smetti di cibarti quotidianamente di questi cibi, la tua vita diventa più serena.

Ed è vero. È vero per me. Sono molto più sereno, ho la mente più sgombra. Sono più felice. E questi sono dati di fatto. C’è meno spazio nella mia vita per le arrabbiature, le preoccupazioni, la felicità isterica. Potrei persino smettere di rispondere male a mia mamma. Sarebbe davvero the end of the world.

La scuola uccide

L’apprendimento è un tema ricorrente di questo blog. Siamo dell’opinione che il sistema scolastico sia sbagliato su molti livelli, e che in generale il senso comune sull’educazione e le strategie educative di insegnanti e genitori siano parecchio distanti dall’ottimo, e incappino anzi in errori grossolani. I raging SWPL residenti al TED hanno un paio di discorsi di Sir Ken Robinson che ho trovato molto interessanti.

“Very many people go through their whole lives having no real sense of what their talents may be, or if they have any to speak of.”

Sir Ken Robinson

I punti ci sono tutti. La scuola è un grande sistema per formare esclusivamente professori universitari. Un mondo di professori. Altri tipi di intelligenza non vengono considerati, per cui molti diventano persone tristi senza arte né parte perché non hanno mai scoperto la loro vera vocazione. Se oggi, in Italia, circa un terzo (l’ultima percentuale che ho letto era 31.3) di giovani sono inattivi, cioè senza lavoro né studio, la colpa è anche ci tredici anni di sistema scolastico (minimo) che evidentemente non ha saputo fare niente per prepararli alla vita. Di quelli che lavorano poi, una parte consistente sopravvive, resiste alla propria vita aspettando perennemente il weekend.

La scuola è una sistema per perpetuare i dogmi che l’hanno costruita. Se avesse la parola “borghese” da qualche parte potrebbe essere una frase di Marx o di Hengel. Uccide il pensiero laterale. Forma una buona classe di burocrati che imparano a rispettare lo status quo (mettere i puntini sulle i, rispettare i limiti di velocità) senza che mai passi loro per l’anticamera del cervello che il mondo è fatto per essere cambiato.

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Tutto quello che tu chiami “vita” è stato costruito da persone che non erano più intelligenti di te. Una volta che avrai compreso questo semplice fatto, non sarai più lo stesso.