Sir Jony Ive

Quando ho visto per la prima volta questo video da YouTube, il primo commento in alto recitava: “There’s still a truly spirited man at Apple. His name is Jony Ive”. E questo si può dire di Sir Jony from Essex, truly spirited, in una maniera che qualsiasi versione italiana non renderebbe appieno. La sua lezione magistralis parla di Steve ma parla anche della sua filosofia estetica. L’amore per la modellazione delle parti non visibili risale dal padre adottivo di Steve, falegname e meccanico, ai marmi del Partenone di Fidia. La vittoria per la semplicità, la vittoria per la purezza, non è stata solo quella di Steve, ma è, ogni giorno della sua vita, quella di Sir Jony, anche in queste parole, in una maniera che il mondo contemporaneo non conosce, ma che, come dimostra il successo dei prodotti, intuisce. I neoclassici di Cupertino.

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Steve used to say to me (and he used to say this a lot), “Hey Jony, is a dopey idea.” And sometimes they were — really dopey. Sometimes they were truly dreadful. But sometimes they took the air from the room, and they left us both completely silent. Bold, crazy, magnificent ideas. Or quiet, simple ones, which in their subtlety, their detail, they were utterly profound.

And just as Steve loved ideas, and loved making stuff, he treated the process of creativity with a rare and a wonderful reverence. I think he, better than anyone, understood that while ideas ultimately can be so powerful, they begin as fragile, barely formed thoughts, so easily missed, so easily compromised, so easily just squished.

I loved the way that he listened so intently. I loved his perception, his remarkable sensitivity, and his surgically precise opinion. I really believe there was a beauty in how singular, how keen his insight was; even though sometimes it could sting.

As I’m sure many of you know, Steve didn’t confine his sense of excellence to making products. When we travelled together, we would check in, and I’d go up to my room. And I’d leave my bags very neatly by the door. And I wouldn’t unpack. And I would go and sit on the bed. I would go and sit on the bed next to the phone. And I would wait for the inevitable phone call: “Hey Jony, this hotel sucks. Let’s go.”

He used to joke that the lunatics had taken over the asylum, as we shared a giddy excitement spending months and months working on a part of a product that nobody would ever see. Well, not with their eyes. We did it because we really believed it was right because we cared. He believed that there was a gravity, almost a sense of civic responsibility, to care way beyond any sort of functional imperative.

While the work hopefully appeared inevitable, appeared simple and easy, it really cost. It cost us all, didn’t it? But you know what? It cost him most. He cared the most. He worried the most deeplyHe constantly questioned, “Is this good enough? Is this right?”

And despite all his successes, all his achievements, he never presumed, he never assumed that we would get there in the end. When the ideas didn’t come, and when the prototypes failed, it was with with great intent, with faith, that he decided to believe we would eventually make something great.

But the joy of getting there! I loved his enthusiasm, his simple delight (often, I think, mixed with some relief) that, yeah, we got there. We got there in the end and it was good. You can see his smile, can’t you? The celebration of making something great for everybody; enjoying the defeat of cynicism, the rejection of reason, the rejection of being told a hundred times, “You can’t do that”. So his, I think, was a victory for beauty, for purity, and, as he would say, for giving a damn.

He was my closest and my most loyal friend. We worked together for nearly fifteen years — and he still laughed at the way I say “aluminium”.

For the past two weeks, we’ve all been struggling to find ways to say goodbye. This morning I simply want to end by saying, “Thank you, Steve.” Thank you for your remarkable vision, which has united and inspired this extraordinary group of people. For the whole that we have learned from you, and for all that we will continue to learn from each other: Thank you, Steve.

La dieta anti-infiammatoria

Molte persone pensano che mangiare sano voglia dire mangiare secondo ricette e prodotti tradizionali, preparati con cura dalla mani sapienti della nonna o di un buon cuoco. Se si va al di là di un’analisi superficiale, questa credenza popolare risulta tuttavia infondata. Contemporaneamente vengono demonizzati i fast-food o il kebabbaro sotto casa, probabilmente a causa della sclerosi dell’abitudine, di un certo nazionalismo dell’ora di pranzo o semplicemente della pura ignoranza.

Prendiamo la pizza, per esempio. È un alimento molto calorico, con una pessima ripartizione dei macronutrienti (una quantità sproporzionata di carboidrati), a volte non di grande qualità, se ad esempio il pizzaiolo usa pasta addizionata con glutine. Ovviamente si può fare qualcosa: prendere una pizza con qualche verdura e delle proteine, chiederla con farina di kamut, che tassa decisamente meno il sistema digerente. Ma un pasto che sia esclusivamente composto da una margherita con patate fritte (cosa di cui il sottoscritto — ammetto — andava matto), lasciatemelo dire: fa schifo.

Lo stesso, più o meno, si può dire di un buon piatto di spaghetti al pomodoro. Tanti carboidrati, poco del resto, e un abbiocco garantito.

Il problema, il grosso problema, è che la dieta non è come un’aspirina né come un bicchiere di whisky. Un’aspirina la prendi e ti senti subito meglio; il whisky lo bevi e sei subito andato. Gli effetti della dieta entrano in gioco ad anni di distanza. A me una pizza addizionata con glutine dà mal di pancia subito, ma non credo che tutti abbiano (la sfortuna di avere) un rilevatore integrato del genere. Magari hai cinquant’anni e ti viene diagnosticato un cancro e pensi, che sfiga, proprio a me. Lo accetti come un bravo agnello sacrificale, pensando che è così che va il mondo, e nel frattempo porti i tuoi figli a mangiare pizza con le patatine fritte, per tenerli su di morale. Non pensi che quarant’anni di dieta hanno infiammato il corpo portandolo a un risultato del genere.

Oppure ti viene un attacco di cuore a sessantacinque anni e stavolta pensi, che diamine, la vecchiaia. Balle, grandissime balle.

Non ho intenzione di diventare un vecchio cardiopatico o arteriosclerotico (prima ancora di non avere intenzione di diventare vecchio), quindi non ho intenzione di fare una dieta che mi infiammi, per quanto questo possa sembrare un tantino eccentrico e strappare un sorriso a qualcuno che — dice — (soprav)vive benissimo con la sua sana dieta tramandata dagli antenati (nota, la dieta degli antenati ha più o meno cinquant’anni ed è stata forgiata dall’eccellente programmazione televisiva degli anni ’60-’70). Aspetterò tutti questi alla soglia dei cinquant’anni.

Detto tutto questo, mi sono imbattuto in un eccellente post sul blog di un certo Dr. Art Ayers (nato a San Diego, CA e Ph.D. in biologia molecolare, cellulare, e dello sviluppo, qualsiasi cosa voglia dire) dove riassume le linee guida di una dieta anti-infiammatoria. Mi è piaciuto perché è molto semplice, che non vuol dire che sia facile, ma che è evidentemente frutto di analisi complessa che è stata coagulata in modo cristallino.

Componenti di una dieta anti-infiammatoria (focalizzati su carne, pesce, uova e verdure a foglia):

  • Bassa in amido e altri zuccheri semplici: l’insulina e la glicemia alta sono infiammatori; quindi usa polisaccaridi complessi (niente amido); amido solo in piccole quantità (mezza banana o una metà di un panino da hamburger) e preferibilmente in forme non trattate e meno assorbibili, per esempio integrale o coperto con grasso — pane col burro; meno di 30 g in ogni pasto, ancora meno è ancora più salutare, i cereali sono spesso un problema  — intolleranza al glutine
  • Niente sciroppo di mais alto in fruttosio (questo è usato solo in America, niente paura): alto fruttosio libero (in contrasto col saccarosio) è infiammatorio e contribuisce al crosslinking delle fibre di collagene, che significa pelle che invecchia prematuramente; il saccarosio è molto meglio che dolcificanti alternativi
  • Alto rapporto omega-3 su omega-6: la maggior parte degli oli vegetali (quello di oliva è l’eccezione) sono molto alti in omega-6, sono infiammatori e devono essere evitati; i grassi omega-3 da olio di pesce non possono avere il loro completo impatto anti infiammatorio in presenza di oli vegetali; integratori di omega-3 sono necessari per superare una presente infiammazione — da prendere assieme a grassi saturi
  • Niente grassi saturi trans: sono tutti infiammatori
  • Probiotici e prebiotici: i batteri nello stomaco sono di vitale importanza nel ridurre l’infiammazione; la maggior parte dei batteri che inizialmente colonizza i bambini allattati dalla mamma e che sono presenti in prodotti fermentati sembrano essere buoni; il latte in polvere converte velocemente i batteri dello stomaco del bambini in specie infiammatorio e dovrebbe essere completamente evitato per quanto più a lungo possibile, per permettere lo sviluppo del suo sistema immunitario (almeno sei mesi di esclusivo allattamento)
  • I grassi saturi sono salutari e riducono la perossidazione degli omega-3 nei siti di locale infiammazione (per esempio il fegato grasso). I grassi saturi dovrebbero essere la maggior fonte di calorie nella dieta.
  • Antiossidanti vegetali: frutta e verdura, insieme a caffè e cioccolato forniscono antiossidanti anti-infiammatori molto utili
  • Integratori quotidiani consigliati: 1000 mg vitamina C; 2000-5000 IU vitamina D (per produrre livelli sanguigni di 60 ng/ml); 750 mg glucosamina
  • Componenti dello stile di vita anti-infiammatorio: esercizio fisico (sia aerobico sia forza); minimizzare il grasso corporeo; igiene dentale; stimolazione del nervo vagale
Il blog è tralaltro tutto molto interessante e si chiama coolinginflammation.