Oh tempora, oh mores!

Ho inviato questa email al mio Professore di Meccanica Applicata 2:

Egregio Professore,

mi trovo stranamente – molto stranamente! – a condividere le sue affermazioni sul mondo che cambia, anzi che è già cambiato. Un po' mi ricordano i discorsi di mio padre, il quale anno più anno meno ha la sua età, e che periodicamente sopporto. Ma se togliamo la patina superficiale dell'endemico lamentarsi sui tempi nuovi all'avanzare dell'età, penso che lo stesso ci sia molto da riflettere.

Ho provato sgomento, qualche tempo fa, a vedere i miei colleghi protestare e scendere in piazza contro la riforma dell'università. Non per la violenza. Ho provato sgomento anche per tutte le espressioni più pacifiche. Non ho mai capito bene contro cosa protestassero, questi miei colleghi. Di sicuro non contro la riforma.

Ho trovato in loro un odio diffuso verso qualcosa di totalmente indefinito e nebuloso (lo stato, il governo, il mondo, l'assenza di futuro). Alla fine non resta che un'unica ipotesi valida: "Si odiano gli altri perché si odia se stessi", diceva Cesare Pavese. 

Costoro protestavano contro se stessi, e probabilmente si odiano perché sono persone poco coscienti di sé, infelici perché incapaci di comprendere se stessi e il loro posto del mondo. Davvero un pugno di monete calate dall'alto fanno la differenza tra il "sol dell'avvenir" e un futuro nero? 

 

C'è però da dire che il quotidiano lavaggio del cervello operato dalla televisione va solo in questa direzione: la povera studentessa laureata con 110 e lode in "scienze delle merendine" e ora commessa al supermercato, al cui capezzale corrono frotte di giornalisti vampiri impazienti di confezionare la storia nel modo più tragico possibile. Ci vuole una pelle molto spessa per resistere a questi continui mantra negativi, e non tutti ce l'hanno.

 

Neanche la politica aiuta. Il suo "nessuno studente si è mai preoccupato di pulire i cancellini della lavagna, perché a lui non compete", esemplifica bene la transizione da un mondo fondato sui doveri e sulla responsabilità e l'iniziativa (il suo) e uno fondato invece sui diritti e sulla burocrazia (il nostro). 

Scrive un filosofo contemporaneo, Roger Scruton: "I diritti universali dell'uomo sono stati stabiliti dai filosofi classici liberali, tra cui Locke, all'interno del concetto di libertà, innanzitutto stabilendo le cose che possiamo fare (spostarci, possedere proprietà, respirare, agire autonomamente) e che nessun altro può impedirci di fare. Ora, invece, i diritti universali sono visti come pretese – richieste che gli altri non sono in grado di soddisfare – come il cosiddetto "diritto" a un certo standard di vita, di benessere, di sicurezza del proprio lavoro. Questi diritti possono essere ottenuti solo costringendo gli altri a renderli applicabili. In questo modo, le nuove forme dei diritti umani sono in realtà strumenti d'oppressione".

Persino la nostra costituzione vorrebbe garantire il "diritto al lavoro". Che chiaramente non è un diritto, ma un bisogno! Tutti hanno bisogno di lavorare, ma lo stato dovrebbe costringere qualcun altro a darci un lavoro. E' questo un diritto, che si garantisce attraverso un'azione dispotica? Ovviamente no, e infatti il "diritto" oggi non è rispettato, altrimenti l'occupazione sarebbe al 100%.

 

Vedo le nuove generazioni così accecate dal lamentarsi sui diritti che avrebbero e che non sono loro garantiti, da dimenticarsi che il futuro ognuno se lo costruisce con le proprie mani, e che ognuno ha – alla fine dei conti – il futuro che si è scelto di avere. Per fortuna, però, il mondo ha dimostrato di avere degli straordinari meccanismi di compensazione, e alla fine le cose non vanno mai così male come si pensava sarebbero andate.

 

Se è arrivato fin qua a leggere, la ringrazio.