Col mio parroco non sono sempre stato molto d’accordo. Ha segnato però la mia vita. Come Giovanni Paolo II era per me l’unico Papa, essendosi seduto sul soglio pontificio prima della mia nascita e essendoci rimasto fino a tutta la mia adolescenza, così don Alfredo era per me il Parroco. In tutti questi anni, coll’evoluzione della mia persona e la formazione del mio pensiero, è sempre – e gradualmente – cambiato il punto di vista critico nei suoi confronti. Questa è la ragione della profonda stima corroborata da forte dissenso che nutro nei suoi confronti.

Ricordo che da piccolo ero appassionato dalle sue prediche e dalla sua mimica (e ciononostante sapeva essere fermo come pochi con i bambini). Poi il suo atteggiamento ha cominciato a trasformarsi davanti ai miei occhi: i cartelloni in grassottello appesi in chiesa non mi piacevano più, la fusione tra la messa dei bambini e quella degli adulti mi costringeva a ignorare il salto che la Fede aveva compiuto dentro di me.

Ora, dopo 15 anni, se n’è andato, di propria volontà. Stona con quanto disse sei anni fa, giunto al termine del suo mandato: “venderò cara la pelle”. In sei anni le cose possono cambiare, ho pensato. Invece è finita nel peggiore dei modi, in seguito a voci sul suo conto – la cui verità è nota solo a Dio – che hanno corrotto la sua volontà di restare tra noi. Come nel peggiore degli incubi moderni, la fittizia realtà dei giornali e della televisione viene plasmata nel mondo di tutti i giorni dalla mente di quelli, tra le persone, più influenzabili degli altri.

L’occhialuto uomo costruisce ordigni, e capita che ogni tanto uno di questi venga fatto esplodere.

La grande notizia di questi giorni è che George W. Bush ha vinto il premio nobel per la pace 2009. O meglio, la sua politica. Il che non sarebbe un gran vanto, visto che il premio è stato assegnato in passato a personaggio tipo Kofi Annan (primo responsabile del genocidio in Ruanda e campione del nepotismo in seno alle Nazioni Unite) o Arafat. Ad ogni modo, Barack Obama è riuscito, in soli nove mesi di mandato, a non cambiare di una virgola la (ottima) politica estera della precedente amministrazione, salvo darla a bere in modo molto più corretto e cool ai media occidentali. Ha promesso la chiusura di Guantanamo, ma finora non si ha nemmeno una data stimata; ha proclamato che non verranno più usati metodi di interrogatorio duro, salvo poi aggiungere nelle note a fondo pagina che sì, ma solo in caso di pericolo per la sicurezza nazionale. In Iraq non ha ritirato un solo soldato, mentre in Afghanistan il contingente è raddoppiato, e proprio in questi giorni è al vaglio l’invio di altre quarantamila truppe. Well done, Barack.